SAPA Group si espande: acquisizioni in Spagna e Marocco

Il gruppo italiano aumenta la presenza sul mercato.
La famiglia Affinita mette a segno acquisti mirati e strategici.

Sapa Group accresce la propria presenza sul mercato dell’automotive.

Il gruppo italiano, infatti, ha acquisito la maggioranza del Gruppo Hispamoldes, una società partecipata dal fondo di investimento Quarza Inversiones che rimarrà come azionista.

Hispamoldes verrà integrata in Sapa dando vita al Gruppo Indea, creando un fornitore di primo piano in Europa di componenti per la mobilità sostenibile. La holding della famiglia Affinita, infatti, si era già messa in luce sul tema della sostenibilità grazie al progetto Life Biobcompo (appronfondimento al link).

Hispamoldes, con sede ad Orense, è un operatore di riferimento nel segmento spagnolo dello stampaggio a iniezione di materiali termoplastici e nella produzione di stampi ed utensili ad iniezione.

I numeri parlano chiaro: a 300 dipendenti suddivisi nei suoi quattro stabilimenti produttivi, tre in Spagna ed uno in Marocco, generando un fatturato annuo di circa 38 milioni di euro.

Un’acquisizione mirata e strategica, dunque, quella della famiglia Affinita che guida il gruppo; Giovanni Affinita, AD di Sapa Spagna e membro del consiglio di amministrazione di Sapa, ha dichiatrato quanot di seguito:

Oltre a implicare il nostro ingresso nei mercati spagnolo e marocchino, questa acquisizione è altamente complementare in quanto ci darà accesso a nuove tecnologie produttive che rafforzeranno e amplieranno la portata del nostro metodo One-Shot, un sistema brevettato in grado di combinare tutte le fasi necessarie per la produzione di componenti automobilistici in una sola, costituendo così un’alternativa più sostenibile, agile ed economica agli attuali metodi tradizionali”.

È intervenuto anche Cristian Abelló, presidente di Quarza Inversiones, commentando così l’operazione:

Questa transazione segna un significativo passo avanti per Hispamoldes, ora Indea, in quanto fornirà una leva per accelerare la sua crescita ed espandere la sua portata; saldare la sua posizione competitiva dandole nuove capacità su più livelli e allinearsi con le strategie e le esigenze dei nostri clienti, rafforzando la sua competitività come produttore di parti tecniche in plastica”.

La famiglia Affinita, proprietaria di SAPA Group.

Spagna e Francia: stop ai veicoli a benzina

La data limite è il 2035.
L’annuncio durante il COP27 in Egitto.

Francia e Spagna si sono impegnate a fermare le vendite di veicoli a benzina entro il 2035, nell’ambito degli sforzi per accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

L’annuncio è arrivato in occasione dei colloqui sul clima della COP27, in Egitto.

Parigi e Madrid fanno parte di un gruppo di nuovi firmatari della Dichiarazione sui veicoli a emissioni zero, lanciata alla conferenza di Glasgow dello scorso anno.

I firmatari si impegnano a passare al 100% delle vendite di veicoli a zero emissioni entro il 2035 nei mercati principali ed entro il 2040 in tutto il mondo. 

Ong su Macron: “Non ci ha offerto un porto sicuro”

L’ipocrisia francese incrina i rapporti con l’Italia.
43 richieste di porto sicuro e nessun Paese ha risposto.

La retorica buonista della Francia era stata subito smontata da quanto accade a Ventimiglia e ora a smascherare ulteriormente Parigi ci ha pensato la portavoce della Sos Mediterranée Italia.

Si tratta di Elisa Brivio, che ha spiegato nel dettaglio quanto accaduto nell’ambito della vicenda Ocean Viking: alla fine la nave ha attraccato al porto di Tolone e i 230 migranti sono stati fatti scendere. Ma davvero la Francia è nelle condizioni di impartire lezioni all’Italia? Non proprio, alla luce anche del racconto arrivato dalla Organizzazione non governativa (Ong) al timone della nave.

La portavoce della Sos Mediterranée Italia, nell’intervista rilasciata a “La Stampa“, ha voluto porre l’attenzione sul significato esatto che caratterizza un vero porto sicuro: per “pof” (ovvero “place of safety“), si intende un porto in cui le persone salvate in mare possono non solo sbarcare ma anche “esercitare i loro diritti, a partire da quello di richiedere asilo”.

E quello offerto dalla Francia sarebbe perfettamente coerente con questa definizione?

Non a caso Elisa Brivio ha sottolineato che Tolone giovedì ha concesso un porto “in via eccezionale, non un porto sicuro“.

Poi, rispondendo a precisa domanda, ha aggiunto: “Quindi la Francia non ha mai offerto un porto sicuro? A noi mai“. Ed ha parlato di un “colossale equivoco” che successivamente ha inasprito i rapporti tra il nostro Paese e la Francia.

Nelle 43 richieste di porto sicuro erano state coinvolte l’Italia e Malta, considerati “i Paesi più vicini” in cui “bisogna sbarcare“.

Non solo: a Francia, Grecia e Spagna era stato rivolto un appello per “un supporto” affinché “si trovasse una soluzione“. Il risultato? “Nessuno aveva mai risposto, né gli uni né gli altri“.

In questi giorni Parigi ha usato toni molto duri, minacciando ritorsioni contro il nostro Paese per il caso Ocean Viking; il che, tra le altre cose, si è tradotto nello stop all’accoglienza di 3.500 rifugiati dall’Italia.

Con il passare delle ore non si è placata la serie di reazioni scomposte dalla tanto solidale e accogliente Francia che, nel frattempo, ha respinto le domande di asilo di 44 dei 230 migranti soccorsi e si sta preparando a procedere all’espulsione nel loro Paese di origine.

L’ipocrisia francese è stata denunciata anche da Marine Le Pen, che al Corriere della Sera ha ricordato un precedente che ha coinvolto proprio Parigi: ora il governo francese si affretta a denunciare la gestione italiana e a evocare ragioni umanitarie, “ma nel 2018 la nave Aquarius venne rifiutata dalla Francia e fu costretta a navigare fino a Valencia“.

Senza dimenticare che sul sito Oxfam nel 2018 venivano criticati i respingimenti di minori non accompagnati da parte della Francia, “in palese violazione del diritto europeo e interno“.

Si parlava di “minori non accompagnati anche di 12 anni” che “continuano a essere vittime di abusi, detenzioni e respingimenti illegali“.

Ecco perché le lezioncine di Parigi lasciano il tempo che trovano.

Lavoro: dati o istinto? Ecco come decidono le aziende

Nonostante i progressi tecnologici, il 53% delle aziende decide per istinto.
Ecco chi decide dai CFO a responsabili IT.

Come decidono le aziende? Ci si basa su dati o si va ad istinto?

Nonostante i progressi nella tecnologia e nella digitalizzazione, l’istinto continua a guidare le decisioni aziendali.

Più precisamente sono il 53% dei responsabili finanziari italiani a decidere guidati dall’istinto.

Le informazioni che arrivano sono infatti spesso isolate, non nel formato giusto e non prontamente disponibili.

È quanto emerge dalla ricerca The CFO-CIO Partnership condotta da Workday, società leader nelle applicazioni cloud aziendali per la finanza e le risorse umane, in collaborazione con Ft Longitude, intervistando 1.060 dirigenti senior della finanza (cfo) e dell’Information Technology (cio).

Come riporta anche “Milano Finanza”, l’Italia fa peggio della media europea (52%) in decisioni istintive, pur restano di oltre 10 punti sotto la Francia che è prima in classifica (con il 67%), nel Belpaese vengono ascoltati maggiormente i dirigenti It durante le riunioni dei dipartimenti finance.

Solo infatti per il 20% dei cfo i loro omonimi nel digital non hanno potere nelle discussioni, nemmeno quando la tecnologia risulta essenziale per risolvere una sfida.

Una percentuale che è meno della metà di quella registrata nei Benelux (42%) e del 30% inferiore alla Spagna.

La digitalizzazione della finanza può “migliorare il processo decisionale per la pianificazione e il reporting, tenendo in considerazione anche i requisiti più ampi in materia Esg rispondendo così alle esigenze del mondo di oggi in costante cambiamento“, sottolinea Frederic Portal, product marketing director Europa, Medio Oriente e Africa (Emea) financials di Workday.

Eppure, solo il 4% delle organizzazioni dell’area Emea ha una solida strategia di trasformazione digitale della finanza e ha implementato diverse iniziative di trasformazione digitale negli ultimi due anni.

Quali sono gli ostacoli? I dirigenti finanziari italiani danno la colpa alla mancanza di competenze finanziarie all’interno dell’It, mentre i responsabili digitali fanno menzione alla mancanza di competenze tecnologiche e di dati all’interno della finanza.

Un rimbalzarsi le colpe, insomma, che porta ad circolo vizioso dal quale sarebbe opportuno uscire per il benessere aziendale e gli impatti che esso ha.

Auto elettriche: crolla il mercato italiano

-40% negli ultimi 3 mesi.
Il mercato europeo invece segna un +7,9%: traina la Germania.

Il cumulato resta un disastro, ma il trend leggermente migliora.

A settembre il mercato europeo dell’auto (i 27 paesi UE, UK e Efta) è cresciuto del 7,9% e sul tema sono intervenuti sia Tavares che Macron (approfondimento al link).

Sono state consegnate 1.049.926 vetture rispetto alle 972.843 dello stesso mese dello scorso anno.

Nei primi tre trimestri, invece, il quadro rimane negativo e mancano all’appello quasi un milione di auto (890.000 unità): nei primi 9 mesi del 2021 erano stati immatricolati 9.162.177 esemplari, nel 2022 la cifra è scesa a 8.271.115 (-9,7%).

Alcuni giorni fa il presidente dell’Acea (ed anche della BMW) Oliver Zipse ha anticipato che la “ripresina” continuerà pure nel trimestre finale del 2022 e l’esercizio dovrebbe chiudere più o meno in pareggio (-1%). Tutti e cinque i principali mercati hanno un segno positivo, ma l’andatura è diversa.

Questa volta guida la Germania (+14,1%), seguita dalla Spagna (+12,7%) e la Francia (+5,5%); l’Italia, con il +5,4%, precede soltanto il Regno Unito (+4,6%).

Come riporta “Il Messaggero”, noi siamo invece i peggiori nei nove mesi con un -16,3%, davanti a Parigi, Londra, Madrid e Berlino.

Il panorama cambia drasticamente guardando i numeri dei veicoli ecologici dove il Belpaese ha risultati imbarazzanti, in controtendenza rispetto agli altri.

A lume di naso, sembra che siamo decisamente deficitari nel processo di riduzione delle emissioni.

La locomotiva in fuga è la Germania che, nell’ultimo mese, ha raggiunto un terzo del mercato con le vetture ricaricabili (elettriche più plug-in, totale 32,3%), seguono Francia (24,2%) e Gran Bretagna (22,4%) intorno ad un quarto del totale. La Spagna è almeno in doppia cifra (11,1%) e precede l’Italia con un misero 8,5% (meno di un decimo del totale).

La performance più disarmante, però, è in relazione ai modelli solo a batteria: negli altri 4 principali mercati le auto elettriche (BEV) sono passate dal 9,2% al 12,7%, la Penisola è crollata dal 4% al 3,6%. Le associazioni di categoria, Unrae in testa, puntano il dito sulla rete di ricarica decisamente inadeguata, ma c’è dell’altro per riportare un risultato tanto insufficiente.

In Italia ci sono solo 6,1 punti di ricarica ogni cento chilometri rispetto alla media continentale che è di 8,2. In questa graduatoria siamo al 14° posto, in scia al Portogallo.

C’è da dire che nell’ultimo trimestre i punti di ricarica sono aumentati di duemila unità ed ora sfiorano i 33.000.

Rimane una grande differenza fra Nord, dove c’è quasi il 60% delle colonnine, e il Sud, dove a stento si raggiunge il 20%.

Secondo un’analisi di Quintegia da luglio a settembre la vendita di auto ad emissioni zero è crollato addirittura del 40%.

A livello di costruttori a settembre è cresciuto di più il Gruppo Volkswagen che, con oltre il +20%, è passato da poco più di 200mila a quasi 250mila unità vendute.