Jet F16 all’Ucraina tra sfottò e risposta russa

Dal contadino eroe alle insistenti richieste d’aiuto.
Arruolamento di piloti dietro lauto compenso.

Prima gli annunci secondo i quali un anziano contadino abbatteva da solo i bombardieri russi col suo fucile, poi il pressing per avere i jet F16 dalla Nato.

Questo è quanto sta accadendo dietro alla storia delle dotazioni aeree che l’Occidente inviare a Kiev, che stanno lasciando spazio a diversi sfottò sul web.

La Russia, da parte su, con riferimento al piano dell’Occidente di fornire all’Ucraina jet da combattimento F-16 di fabbricazione statunitense e di addestrare i piloti ucraini, tramite il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov dichiara quanto di seguito:

È completamente inutile. Le nostre capacità consentono di raggiungere indiscutibilmente ogni obiettivo dell’operazione militare speciale. Nessun attacco alla sicurezza della Federazione Russa, indipendentemente dalla portata di tali misure adottate dall’Occidente collettivo guidato dagli Stati Uniti, porterà al risultato cercato dall’Occidente“.

Secondo un rapporto dell’intelligence di difesa britannica, come riporta Ansa, la Russia sta lavorando alla creazione di un gruppo aereo di attacco da impiegare in Ucraina, formato da cacciabombardieri Su-24 e Su-34 e da elicotteri d’attacco, per compensare alle “scarse prestazioni” della sua aviazione e per colpire obiettivi a terra sul teatro ucraino. Lo riporta l’Ukrainska Pravda.

L’operazione, che avrebbe il nome di codice “Storm”, prevede l’arruolamento, dietro lauti stipendi in contanti, di “top gun”, piloti d’élite, scrive il sito ucraino, citando il ministero della Difesa di Londra.

Queste sarebbero probabilemnte dichiarazioni mirate in risposta a quelle di Bastrikin sui mercenari rilasciate poco tempo fa in modo da ribaltare lo scenario agli occhi del pubblico internazionale (approfondimento al link).

Percettori reddito di cittadinanza: lavorare al nord costa troppo

Accettare un lavoro al nord non conviene.
Va cambiato il sussidio o i sistemi retributivi?

Non rinunciano al reddito di cittadinanza per un lavoro al nord. Neanche se a tempo indeterminato.

Non è la fatica a spaventare le persone, almeno secondo quanto sostiene l’intervistata ospita di “Diritto e Rovescio”, ma il costo della vita.

Il caro vita, infatti, potrebbe rappresentare un ostacolo.

Dritto e Rovescio“, come accennato sopra, ha accompagnato a Milano una percettrice del sussidio che vive a Salerno, analizzando i costi della vita al nord.

Dopo aver ricevuto un’offerta di lavoro come cameriera da 1600 euro al mese, la donna ha provato a valutare i costi di un eventuale affitto, della spesa alimentare e di quella dei trasporti.

Il risultato? La differenza tra nord e sud è netta: a Milano si troverebbe a spendere 2.080 euro mensili, mentre a Salerno se la potrebbe cavare con una spesa di 1.580 euro al mese.

Una disparità di costi che non le permette di lasciare la sua città natale, nonostante la prospettiva di un contratto a tempo indeterminato: “Non è fattibile; qui sono otto ore a lavorare fuori casa, ma questo non mi cambia la qualità di vita. Giorgia Meloni deve capire che fino a quando non dà una dignità certa alle persone non può togliere il reddito. Manda alla gogna tante persone“.

Come fare, dunque, per rilanciare il lavoro e togliere il reddito di cittadinanza senza provocare “danni”?

Se da un lato pagare le persone per restare a casa non aiuta certo a muovere il mercato del lavoro, dall’altro si torna al solito vecchio dilemma: perchè una persona va a fare il cameriere a Londra o il contadino in Australia, ma non vuole fare gli stessi lavori in Italia? La risposta sta nella retribuzione percepita.

Magari, si potrebbe dedicare quanto oggi si spende per il reddito di cittadinanza per aumentare i livelli salariali minimi in Italia; il Bel Paese, infatti, è l’unico Paese che ha un andamento dei salari in decrescita rispetto a tutti gli altri Paesi europei.

La felpa di Zelensky venduta a 90mila sterline

L’invito di Josnhon durante l’asta: “Spendete alla grande”.
Il suo partito però tracrolla alle amministrative.

La famosa felpa di pile color kaki del presidente Volodymyr Zelensky è stata venduta per 90mila sterline (circa 105.000 euro) in un’asta da Christie’s di raccolta fondi per l’Ucraina a Londra.

Lo scrivono i media internazionali, ripresi da “Ansa”, riportando le parole del premier britannico Boris Johnson che durante l’asta ha invitato i presenti a “spendere alla grande“.

Non solo. Johnson, che alle amministrative ha subìto un vero e proprio tracollo perdendo complessivamente quasi 400 seggi comprese roccaforti storiche come Londra (controllata dal 1964) e Wandsworth a favore dei laburisti, ha anche definito il presidente ucraino “uno dei leader più incredibili dei tempi moderni“.

Tra i lotti presentati all’asta anche la brocca a forma di gallo regalata a Johnson durante la passeggiata dei giorni scorsi con Zelensky nella capitale ucraina.

Mosca: follia Usa specula alimentando allarmismo

Accuse inventate e propaganda per aizzare odio.
Nessuna fonte citata: “Se facessimo lo stesso?”

Mosca considera “una follia” le continue dichiarazioni Usa rilasciate in merito alla situazione tra Russia ed Ucraina.

Il tutto per speculare creando odio nei confronti russi creando allarmismo (cit.: “la follia e l’allarmismo continuano”); stando a quando riporta “Ansa” il viceambasciatore russo all’Onu, Dmitry Polyanskiy, avrebbe poi evidenziato come gli Usa non citino nemmeno le fonti, aggiungendo:

E se dicessimo che gli Stati Uniti potrebbero impadronirsi di Londra in una settimana e causare la morte di 300.000 civili? Tutto questo sulla base delle nostre fonti di intelligence che non riveleremo.

Quanto detto da Polyanskiy trova effettivamente riscontro su articoli di giornale come il seguente:

Qui, nel titolo si parla di “Conflitto ucraino” e poi si dice che “gli Usa credono”; opinionisti internazionali come il prof. Geraci, già sottosegretario allo Sviluppo Economico nel Governo Conte I, nella sua pagina Facebook sostiene che il titolo vada specificato (“conflitto ucrainoa cosa si riferisce?) e che la politica estera sia una cosa seria che non può basarsi sui “Credo che”.

Ancora, il colosso dell’informazione Bloomberg, ha annunciato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, lasciando il titolo errato online per circa mezz’ora a cui ha poi fatto seguito una nota di scuse:

Capiamo, però, che un clima simile possa indubbiamente creare allarmismi superiori al dovuto e generare speculazione di opinioni.

Kabul tra accuse, critiche e nuove strategie

Merkel sostiene che “abbiamo sbagliato tutti”, Biden scarica su Trump.
Johnson e Macron chiedono un G7 d’urgenza, l’Onu invita ad un governo inclusivo.

L’avanzata dei talebani dopo il ritiro delle truppe NATO è stata fulminea. Tanto che si è fatto evacuare i diplomatici in brevissimo tempo e che già si parla di Narco-Stato, addirittura il più grande al mondo, che pronto a produrre il 90% dell’oppio illegale mondiale (approfondimento al link).

Le scene di guerriglia lasciano senza fiato, con civili che si aggrappano disperati agli aerei dei Paesi NATO tornati in Afghanistan per recuperare i proprio diplomatici ed i propri cittadini.

I talebani hanno preso il controllo di Kabul e comandano ormai tutto il Paese, dichiarando di essere pronti ad instaurare un Emirato islamico.

Da Kabul arrivano grida d’aiuto con allarmi come “è partita la caccia ai cristiani” e “i talebani vengono a prenderci porta per porta”.

L’Onu ha chiesto l’immediata cessazione di tutte le ostilità e l’istituzione, attraverso negoziati, di un nuovo governo che sia unito, inclusivo e rappresentativo, anche con la partecipazione piena, equa e significativa delle donne, sottolineando che devono essere garantite la continuità istituzionale e il rispetto degli obblighi internazionali dell’Afghanistan.

Biden, ormai attaccato anche dai Democratici, scarica la colpa su Trump, in quanto il ritiro delle truppe era stato deciso dalla sua amministrazione.

La Merkel ritiene che “abbiamo sbagliato tutti” ed il suo aspirante successore cristiano-democratico alla Cancelleria, Armin Laschet, dice che è “la peggiore disfatta per la Nato dalla sua fondazione”, mentre Johnson e Macron chiedono un G7 d’urgenza.

Nel corso del Consiglio di Sicurezza straordinario che si è tenuto ieri a Palazzo di Vetro per iniziativa di Norvegia ed Estonia, il rappresentante di Londra è stato il più esplicito nel marcare le distanze da Washington. Mentre l’ambasciatrice americana già parlava a nome di una potenza che non intende più avere un ruolo sul terreno in Afghanistan, quello britannico ha usato un linguaggio diretto e concreto: in Afghanistan è in corso una tragedia di cui siamo corresponsabili e non dobbiamo offrire ai talebani, che non mantengono mai le promesse che fanno, il riconoscimento ufficiale che non meritano.

Di Maio, in vacanza, non si ancora espresso sulla questione. Il premier Draghi, invece, dice che l’Italia sta lavorando con l’Ue per la soluzione umanitaria.

In una nota, Silvio Berlusconi ha definito l’accaduto come “20 anni di sacrifici vanificati da un disimpiego frettoloso”.

La questione è sempre la stessa: è corretto lasciare ad ogni Stato la propria gestione interna, o bisogna intervenire su un territorio di non proprietà in difesa dei civili che non vogliono vivere in quelle condizioni?

Il Jerusalem Post, ripreso da Il sole 24 Ore, ricorda che “ovunque gli Usa siano intervenuti, in generale i Paesi sono diventati caotici, poveri, dei disastri hobbesiani“: Libano, Iraq, Siria, Afghanistan, Somalia, Haiti, Panama.