Coronavirus e crisi economica, Tringali: “Al diavolo il libero mercato!”

Lo scienziato politico sottolinea come lo Stato debba tornare al centro dell’economia nazionale.
Per uscire dalla crisi serve sovranità: non ci è bastata la lezione?

Il mondo si ferma, c’è qualcosa che cambia.

Cambia un virus, che muta così velocemente da rendere difficilissimo lo studio per una medicina adeguata al contrasto; cambiano, con lui, tutte le nostre abitudini.

Lo stato d’emergenza è stato dichiarato, la quarantena imposta. I limiti delle persone, dettati dal decreto.

Tutti si spaventano per la salute propria e per quella dei propri familiari. Tutti si preoccupano di ciò che verrà dopo.

Sì, perché un dopo arriverà, ne siamo tutti certi, ma con che conseguenze dovremo combattere?

Stiamo assistendo al blocco dell’economia mondiale; partite iva, liberi professionisti, aziende di ogni forma e dimensione: tutti si chiedono “perderemo il lavoro?

Gli Stati stanno mettendo in campo dei pacchetti anti-crisi, con importi e modalità differenti. Basteranno?

Ne abbiamo parlato con il dott. Fabrizio Tringali, scienziato politico, autore del saggio “La trappola dell’euro” e del blog “Badiale&Tringali”, entrambi scritti a quattro mani con il professor Marino Badiale, ordinario di matematica presso l’Università di Torino.

Dott. Tringali, come valuta i pacchetti messi in campo dai vari Paesi?

“Per il momento si tratta prevalentemente di annunci, però alcune indicazioni chiare le possiamo già trarre: ci sono paesi come gli USA e la Gran Bretagna, che si impegnano a sostenere con ogni mezzo la propria economia nazionale. Annunciano stanziamenti di dimensioni storiche, destinati non solo alle imprese, ma anche direttamente ai lavoratori. In Italia si chiude tutto (giustamente) ma a farne le spese sono i lavoratori, i commercianti, i professionisti. Conte si limita a dire genericamente che “Il governo ci sarà”, ma non dice cosa farà concretamente per proteggere gli italiani dalla crisi. Le misure fin qui varate sono una goccia nel mare, così come quelle annunciate per il prossimo futuro. E intanto l’Unione Europea non dà risposte, perché ogni misura solidale è bloccata dai paesi del nord. Il messaggio che ne esce è chiaro: i governi americano e britannico ci sono, quelli italiano ed europeo no.”

Nello Specifico, in Italia, secondo lei di cosa avremmo bisogno?

Di un governo che si assuma la responsabilità di garantire tutto il denaro necessario a rimettere in moto l’economia. In questo momento è impossibile preventivare la cifra, ma di certo si tratta di numeri largamente superiori a quelli di cui sta parlando Conte. Massicci aiuti alle imprese ed ai lavoratori (dipendenti ed autonomi) saranno necessari, ma non basteranno. Il tessuto produttivo farà comunque fatica a riprendersi. Ci saranno licenziamenti. Fra chi non perderà il lavoro, tanti avranno salario decurtato, magari parzialmente integrato con ammortizzatori sociali. Andiamo quindi verso un vistoso calo della domanda. Nel settore privato, fra le imprese che riusciranno a sopravvivere, ben poche saranno quelle disposte ad assumere. Rischiamo una crisi spaventosa. Se ne potrà uscire solo mandando al diavolo l’ideologia del “libero mercato” e riportando lo Stato al posto che gli compete, cioè quello di regolatore dell’economia nazionale.”

Dunque, se capisco bene, dal suo punto di vista serve un piano di assunzioni pubbliche su larga scala. In quali settori?

“Non ci è bastata la lezione per capirlo? Sanità innanzitutto, ed istruzione. E poi investimenti nei trasporti (da Alitalia, al trasporto su rotaia, fino al trasporto pubblico locale). I viaggi da e per l’estero, ma anche i commerci internazionali, saranno difficili. Bisognerà sostenere i produttori locali e il turismo interno.

Avremmo anche bisogno di imparare ad essere disgustati dalla retorica della bontà delle privatizzazioni, e anche dalla caricatura che spesso viene fatta dei lavoratori del settore pubblico, dipinti come privilegiati o nullafacenti. E invece sono medici, infermieri, anestesisti, insegnanti, assistenti sociali. Tutte persone che nella stragrande maggioranza dei casi lavorano moltissimo, a volte rischiando la propria salute, mettendo anima e cuore in servizi fondamentali per noi, per i nostri figli, per i nostri anziani.

Dobbiamo imparare ad odiare questa retorica. Chi si comporta in modo disonesto, una esigua minoranza, va certamente punito, ma dobbiamo recuperare la consapevolezza che i servizi pubblici sono nostra ricchezza, e i lavoratori che li mandano avanti, svolgono un servizio prezioso.

Lo stato può fare moltissimo per frenare la crisi investendo nei servizi pubblici e assumendo, calmierando il tasso di disoccupazione.

E questo è fattibile?

“All’interno dei vincoli europei no. La sospensione del patto di stabilità non è certamente sufficiente. Come dice lo stesso Draghi, i debiti pubblici dovranno necessariamente aumentare in modo importante. Se la UE è una “unione” allora i membri devono accettare di condividere le garanzie sui debiti. E questo deve avvenire senza “condizionalità”, cioè senza imporre agli stati “memorandum” come quelli che hanno distrutto la Grecia. In pratica la Germania dovrebbe accettare di essere garante del debito di tutti, lasciando a ciascun paese la libertà di decidere autonomamente quanto contrarne e come utilizzare il denaro. Impossibile. Se accetteranno forme di apparente solidarietà sarà in cambio di cessioni di sovranità. E la medicina sarà peggiore del male.”

Come dovrebbe agire lo Stato secondo lei?

Dovrebbe fare quello che Conte e Di Maio stanno dicendo, ma che non faranno. Il governo dice che se dalla UE non arriveranno risposte, l’Italia farà da sola. Ma Conte e Di Maio sono figuranti, la loro è solo una sceneggiata mediatica. Alla fine si piegheranno. Mentre invece il governo dovrebbe impegnarsi pubblicamente a difendere ogni posto di lavoro e a varare un piano straordinario di investimenti ed assunzioni. Dovrebbe annunciare che sarà fatto tutto quello che servirà per uscire dalla crisi il prima possibile, proteggendo tutti. Un “whatever it takes” nazionale di portata storica. Ma per farlo dovrebbe disporre della libertà di poter decidere le proprie politiche economiche nazionali. I paesi che hanno la propria moneta e la propria banca centrale possono permetterselo, noi no.

Grecia: barriera galleggiante per chiudere i confini

La Grecia costruisce una barriera galleggiante per difendere i propri confini dall’arrivo dei migranti.

La Grecia ha tutta l’intenzione di costruire una barriera galleggiante per difendere i propri confini dall’arrivo dei migranti.

La notizia della gara d’appalto indetta dal Ministero della Difesa per l’Egeo orientale è stata diffusa “Chios News” ed indica appunto la risposta del governo greco all’emergenza migratoria in alcune isole del mar Egeo. In questo caso il focus è sui flussi migratori provenienti dalla Turchia.

Più precisamente, si legge:

La barriera sarà un sistema di protezione galleggiante di 2.700 metri che limiterà e, se è il caso, sospenderà l’intenzione di entrare nel territorio nazionale, al fine di far fronte ai flussi in costante aumento e con l’urgente necessità di fermarli”.

La gara d’appalto organizzata dall’esecutivo di Kyriakos Mitsotakis, dunque, è orientata a società idonee alla costruzione della suddetta barriera, la quale sarà composta da “barriere o maxi reti da utilizzare in caso di emergenza per respingere i migranti”.

Completa l’informazione il sito “Info Migrants”:

Lo sbarramento alto 1 metro e dieci, di cui 50 centimetri sopra il livello del mare, dotato di luci lampeggianti per una migliore visibilità, sarà poi installato dalle forze armate greche”.

Il budget per il progetto, orientativamente, dovrebbe aggirarsi sui 500 mila euro e comprende i costi di ideazione, costruzione ed installazione.

Salgono i prezzi, scendono i salari

Potere d’acquisto, male i Paesi PIIGS: aumentano i prezzi, diminuiscono i salari.
Volano Bulgaria, Romania e Polonia.

Altro capolavoro, si fa per dire, dell’Europa e dell’Euro.

I prezzi al consumo sono saliti nella zona euro a dicembre, stando ai dati Eurostat, dell’1,3% su base annuale e dello 0,3% su base mensile; a spingere l’aumento dei prezzi è stato soprattutto il costo dell’energia elettrica che è passato dai -0,33 punti ai +0,2 punti di dicembre.

Prezzi in aumento potrebbero anche essere un segnale positivo, nel senso che indicano un’economia in sviluppo. Il problema è infatti proprio questo: mentre i prezzi aumentano, i salari diminuiscono.

Se prendiamo, infatti, l’analisi fatta da “Il Sole 24 Ore” in merito all’andamento dei salari reali rispetto a dieci anni fa, che a sua volta si basa sui dati derivanti dai sindacati europei Etuc (European Trade Union Confederation) prendendo in considerazione il decennio 2009-2019, notiamo un quadro infelice.

Rimangono stabili Finlandia e Belgio, mentre salgono dell’11% i salari in Germania e del 7% quelli in Francia (Paesi che hanno svalutato la propria moneta entrando nell’euro accaparrandosi un vantaggio competitivo).

Calano, al contrario, gli stipendi reali in Grecia (-23%), Cipro (-7%), Portogallo (-4%), Spagna (-3%) ed Italia (-2%). Per queste popolazioni, ne consegue una perdita della capacità di acquisto con diretto impatto sulla qualità della vita.

Il boom della crescita nei salari reali lo fanno invece registrare i Paesi che non adottano l’Euro: la Bulgaria fa registrare un +87%, la Romania un +34% e la Polonia un 30%.