I miliardari che più hanno perso nel 2019

Ecco la classifica stilata da Bloomberg dei miliardari che più hanno perso nel 2019.

Si è concluso il 2019 portandosi dietro, come ogni anno, cose positive e cose negative.

Per qualche miliardario, l’annata è stata particolarmente negativa; vediamo di seguito questa classifica negativa inerente ai 10 miliardari che più hanno perso nel 2019, stilata da “Bloomberg”.

Cominciamo dal decimo posto in classifica con Seo Jung-jin, fondatore e presidente di Celltrion, gruppo biofarmaceutico sudcoreano che sviluppa farmaci per il trattamento di cancro, influenza, artrite reumatoide ed altre malattie che ha perso 1,6 miliardi di dollari.

Il prezzo delle azioni di Celltrion è crollato di circa il 15% nel 2019, riducendo il valore netto di Seo a 5,1 miliardi di dollari.

Uno dei motivi del calo delle azioni è stata la vendita di One Equity Partners di proprietà di JPMorgan di una quota del 4,5% in Celltrion per 327 milioni di dollari, avvenuta a maggio. La mossa ha seguito una vendita di azioni da un miliardo di dollari da parte di un altro investitore chiave quale il fondo sovrano di Singapore, Temasek, accaduto ad ottobre 2018.

Nono posto in classifica per George Kaiser, il presidente ed azionista di maggioranza di BOK Financial, la più grande banca dell’Oklahoma. È anche il fondatore di Argonaut Private Equity, nonché proprietario e presidente di Kaiser-Francis Oil.

La fortuna di Kaiser è scesa a 8,6 miliardi di dollari nel 2019, perdendo 1,6 miliardi di dollari.

All’ottavo posto si classifica Harold Hamm, fondatore, presidente esecutivo es ex CEO di Continental Resources, una delle maggiori compagnie petrolifere e di gas americane oltre che un pioniere del fracking.

Quest’anno il prezzo delle azioni di Continental è calato del 15% poiché le vendite di petrolio e gas più deboli hanno comportato un calo sia dei ricavi che dei profitti nei nove mesi prima di settembre. Il calo del valore delle azioni di Hamm ha portato il suo patrimonio netto a $ 10,1 miliardi. La sua perdita è stata pari a 1,7 miliardi di dollari.

Settimo in classifica Wang Wei, cioè il presidente e fondatore di SF Express, la più grande società di consegna pacchi in Cina, con una perdita di 1,9 miliardi di dollari. La sua fortuna è scesa a 8,5 miliardi di dollari nel 2019 a causa del rallentamento dell’economia cinese e della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Anche il prezzo delle azioni di SF è diminuito del 38% dalla fine del 2017.

Sesto posto per Thomas Peterffy, fondatore e presidente di Interactive Brokers, ovvero una delle più grandi piattaforme di trading elettronico della nazione, che ha perso 2,2 miliardi di dollari. Le azioni di Interactive Brokers sono scese del 12% nel 2019 a causa dei timori di una concorrenza più dura, poiché il rivale Charles Schwab ha eliminato le commissioni e ha accettato di acquistare TD Ameritrade .

La fortuna di Peterffy è scesa a $ 15,3 miliardi, ma è ancora classificato come una delle 100 persone più ricche della lista di Bloomberg.

Al quinto posto troviamo Robin Li, cofondatore e CEO del colosso cinese della ricerca online Baidu, che ha visto la sua fortuna ridursi a 9,2 miliardi di dollari nel 2019 con una perdita pari 2,2 miliardi di dollari.

Le azioni di Baidu si sono più che dimezzate da luglio 2018 poiché il rallentamento dell’economia cinese e la guerra commerciale USA-Cina hanno pesato sulla domanda pubblicitaria. Quest’estate, come riporta il Wall Street Journal, la società ha registrato la sua prima perdita trimestrale da quando è diventata pubblica nel 2005.

Quarto si posiziona Tan Siok Tjien che, con la sua famiglia, possiedono oltre il 75% di Gudang Garam, un produttore indonesiano di sigarette ai chiodi di garofano con una quota di mercato nazionale del 20%. Il prezzo delle loro azioni è diminuito di circa il 37% nel corso dell’anno, riducendo la sua fortuna a 7,8 miliardi di dollari e facendo registrare una perdita di 2,2 miliardi di dollari.

Si classifica al terzo posto Hui Ka Yan, il presidente e maggiore azionista di Evergrande, uno dei maggiori costruttori immobiliari cinesi, con una perdita di 2,2 miliardi di dollari. Il suo patrimonio netto è sceso a 30 miliardi di dollari, portandolo al posto numero 32 della lista dei ricchi, mentre il prezzo delle azioni di Evergrande è sceso dell’8% nel 2019. La stessa, secondo il South China Morning Post, è stata messa sotto pressione dal momento che i finanziatori cinesi sono meno disposti a finanziare progetti immobiliari e i legislatori hanno messo in atto nuovi regolamenti progettati per frenare la speculazione.

Al secondo posto troviamo Jeff Bezos, il fondatore e CEO di Amazon, che ha subito un calo del patrimonio netto dopo aver dato una quota del 4% di Amazon del valore di circa 37 miliardi di dollari a MacKenzie Bezos come parte del più grande accordo di divorzio nella storia ed ha perso 8,7 miliardi di dollari. Ciò nonostante, Bezos resta ancora in cima alla lista delle persone più ricche al mondo con un patrimonio di 116 miliardi di dollari.

Al primo posto per quantità di perdite troviamo Rupert Murdoch, presidente esecutivo di News Corp (che possiede il Wall Street Journal, il New York Post ed il Times of London) e copresidente della Fox Corporation, numero 220 al mondo con un patrimonio attuale netto di 7,8 miliardi di dollari ha visto il suo patrimonio netto precipitare dopo che la Disney ha acquistato la 21st Century Fox; Murdoch ha deciso di distribuire 12 miliardi di dollari di proventi dall’accordo tra i suoi sei figli, riducendo la sua fortuna personale.

Ha chiuso l’anno perdendo addirittura 10,2 miliardi di dollari.

Scontro Usa-Iran: oro e petrolio schizzano sul mercato

Impatto dello scontro tra Usa ed Iran su Borse e mercato: schizzano oro e petrolio,

Tiene banco sotto tutti i punti di vista lo scontro tra Usa ed Iran, lo scontro che potrebbe scatenare la terza guerra mondiale (approfondimento al link).

L’uccisione di Soleimani per ordine di Trump (approfondimento al link), legata al mostruoso incremento della produzione nucleare dell’Iran (approfondimento al link) e che ha portato poi alla controreazione iraniana, sta avendo ripercussioni anche dal punto di vista economico.

Sul mercato, infatti, schizzano le quotazioni del petrolio e dell’oro.

Il primo è arrivato alla quota di 65 dollari al barile, facendo registrare un aumento del 3,4%; il secondo ha toccato quota 1.600 dollari l’oncia, ovvero il massimo dal 2013.

Di contro, ciò che ha subìto un forte calo, sono stati i contratti futures sull’azionario di Wall Street. Tutte in ribasso, inoltre, le borse asiatiche dopo gli attacchi iraniani alle basi Usa (approfondimento al link).

La Borsa di Tokyo ha chiuso a -2,45% mentre Hong Kong a -1,49% e con Shangai che registra un -0,49%.

Sotto il profilo delle valute, invece, il dollaro americano cede sullo yen mentre l’euro sale leggermente.

Banco Bpm: incremento del 68% nell’utile netto

Banco Bpm, la fusione tra Popolare di Milano e Banco popolare, ha fatto registrare un aumento dell’utile netto del 68% nel primo semestre del 2019.

+68%. Tanto è l’incremento dell’utile netto che ha fatto registrare Banco Bpm, ovvero, la fusione tra Popolare di Milano e Banco Popolare, nel primo semestre del 2019.

I dati di quella che è diventata il terzo polo creditizio italiano sono stati pubblicarti martedì 6 agosto e riportano nel dettaglio il passaggio da 352 a 593 milioni di euro, con un delta positivo quindi pari a 241 milioni di euro.

Aumentando lo zoom, si nota che particolarmente proficuo è stato il secondo trimestre, dove si è registrato un balzo di quasi il 200% (dai 150 milioni di euro del primo trimestre ai 442 di quello appena conclusosi).

Nella nota, Banco Bpm esplicita quanto di seguito:

La gestione del primo semestre dell’esercizio 2019, ancorché caratterizzata dalla prosecuzione delle azioni di derisking e di riorganizzazione delle attività del gruppo in linea con il piano industriale, nonché sulla realizzazione delle operazioni di capital management già annunciate al mercato, si è maggiormente focalizzata sullo sviluppo dell’attività commerciale dopo l’importante riorganizzazione della rete e la chiusura delle filiali che hanno caratterizzato lo scorso esercizio”.

Volendo analizzare nel dettaglio l’andamento e confrontandolo in una logica year to date ovvero paragonandolo allo stesso periodo dello scorso anno, vediamo che le commissioni nette sono diminuite del 5% (da 935 milioni di euro a 888) e che il margine di interesse è sceso da 1,18 a 1,02; gli impieghi sono aumentasti del 3% toccando quota 105,1 miliardi di euro mentre la raccolta diretta (da clientela) è passata da 101,5 (dato di fine dicembre 2018) a 105,2 miliardi di euro e quella indiretta è aumentata ad 89,1 miliardi di euro, rispetto agli 86,6 della fine dello scorso anno (una crescita del 2,8% costituita da 56,7 miliardi di euro di risparmio gestito e 32,4 di risparmio amministrato).

Altro fattore positivo è la diminuzione dello stock dei crediti deteriorati, che scendendo a 6,2 miliardi di euro ha fatto registrare un calo dell’8% rispetto a dicembre 2018; se confrontato a quello di un anno fa, quando era pari a circa 10 miliardi di euro, la diminuzione si aggira addirittura attorno al 35%.

Il semestre trascorso è inoltre caratterizzato dalla crescita della raccolta “core” conti correnti e depositi, dove si hanno 4,5 miliardi di euro in più rispetto alla fine dell’esercizio precedente. Diminuiscono invece le forme di raccolta più onerose (-0,5 miliardi di euro per le obbligazioni).

Infine, un’altra riduzione dei costi è quella inerente alle spese per il personale che ammontano a 879 milioni di euro, ovvero al 4%; in questo caso, però, non è un dato del tutto positivo perché può indicare il taglio di alcuni posti di lavoro.

Pratiche commerciali scorrette: l’antirust multa Compass

Compass multata dall’Antirust per 4,7 mln di euro per pratiche commerciali scorrette.
Nel mirino finiscono anche Metlife ed Europ Assistance.

4,7 milioni di euro.

Questa l’importo con cui l’Antitrust ha sanzionato Compass, società di credito al consumo del gruppo Mediobanca e già sponsor della nazionale italiana di calcio.

L’accusa è quella di pratiche commerciali scorrette; più nel dettaglio, nel bollettino dell’Autorità, si può leggere:

Compass ha condizionato e/o limitato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori in relazione ai propri prodotti di finanziamento”.

Stando infatti a quanto ritiene l’Antitrust, ancora si legge:

Compass ha prospettato ai consumatori intenzionati a richiedere prestiti, la possibilità di accedere a questi ultimi solo sottoscrivendo polizze assicurative che nulla hanno a che vedere con il finanziamento, attuando di fatto un abbinamento forzoso tra prodotti di finanziamento e prodotti assicurativi“.

Ma non è solo Compass ad essere finita nel mirino; il medesimo procedimento ha riguardato anche le società di assicurazioni Metlife (sia Metlife Europe che Metlife Europe Insurance) ed Europ Assistance, in entrambi i casi, tuttavia, i procedimenti si sono chiusi senza sanzioni.

Da parte sua, Compass, invece dichiara:

Siamo certi di aver agito secondo principi di integrale trasparenza nei confronti della propria clientela ed in piena conformità rispetto al quadro regolamentare; per tale motivo faremo immediato ricorso al Tar del Lazio”.

Non solo; la medesima società di credito al consumo fa inoltre notare di aver intrapreso già da mesi delle azioni volte ad “accrescere ulteriormente i profili di correttezza nei confronti della clientela” e che queste avverranno “nei tempi prospettati dall Agcm“.

Tesorerie dei Comuni: l’Abi attacca Poste Italiane

L’Abi attacca Poste Italiane: non ha la licenza bancaria e fa concorrenza sleale nella gestione delle Tesorerie dei Comuni.

È noto che non si siano mai piaciuti, ma ora l’astio si fa più intenso.

Le banche non hanno mai visto di buon occhio l’espansione del BancoPosta ed ora il mondo bancario si sente minacciato anche sul fronte inerente alla gestione delle Tesorerie dei Comuni che abbiano meno di 5mila abitanti.

Il Presidente dell’Abi (Associazione bancaria italiana), Antonio Patuelli, ha infatti sostanzialmente dichiarato guerra aperta a Poste Italiane, sostenendo che quest’ultima operi senza licenzia bancaria; questo permetterebbe, infatti, al gruppo delle Poste di fare concorrenza diretta agli Istituti bancari, godendo però della posizione di dover pagare meno oneri.

Tramite il proprio amministratore delegato Matteo Del Fante, Poste Italiane ha replicato come di seguito all’accusa di Patuelli:

“Il territorio ha bisogno di questo tipo di iniziative. La posizione di Poste è molto chiara: se il territorio ha bisogno di noi mettiamo a disposizione i nostri servizi, se non ha bisogno non ci saremo. Noi siamo molto vigilati da Bankitalia, abbiamo la licenza bancaria ma siamo una cosa diversa”

A sua volta, ha voluto però replicare anche Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi:

“La differenza tra soggetti che hanno la piena licenza bancaria (come le banche) e soggetti che non la hanno o a cui si applicano normative speciali (come bancoposta) non è formalistica ma di sostanza. Dal possesso della piena licenza bancaria derivano una serie di maggiori potenzialità, oneri e complessità organizzative e di reporting che rendono la competizione non livellata”.

Sulla questione sono intervenuti anche i sindacati del settore del credito; schieratisi dalla parte dell’Abi, hanno di fatto chiesto a Del Fante, come rappresentante di Poste Italiane, di avere coerenza tra la natura della società ed il contratto che utilizza. Più precisamente, Lando Maria Sileoni, segretario della Fabi, ha sostenuto che “se BancoPosta è davvero una banca, allora applichi il contratto collettivo nazionale di lavoro ai suoi dipendenti e si ponga, a tutti i livelli, su un piano di gioco livellato rispetto alle banche tradizionali”.