Auto elettriche: BMW si schiera con la Cina e fa causa all’UE

Altro suicidio europeo: invece di dare sussidi come fa la Cina, impone dazi.
Pechino risponde con nuove tariffe sui prodtti alimentari europei.

I produttori cinesi e BMW hanno scelto le vie legali per contestare le tariffe, mentre la Commissione ha 70 giorni per preparare la sua difesa.

L’Ue ha introdotto i dazi sulle auto cinesi perchè la Cina dà sussidi cinesi lungo tutta la filiera delle auto elettriche (BEV) e questi vengono visti come una minaccia (di contro, la Cina, ha aggiunto tariffe sui prodotti alimentari europei).

La decisione della Commissione Europea di imporre dazi pesanti sulle auto elettriche importate dalla Cina ha scatenato una forte reazione.

Tre grandi produttori cinesi – BYD, Geely e Saic, quest’ultima controllata dallo Stato – hanno presentato ricorso presso il Tribunale generale dell’Unione Europea a Lussemburgo, secondo quanto riporta il quotidiano di Hong KongSouth China Morning Post“.

I produttori cinesi contestano le accuse di concorrenza sleale mosse dall’Unione Europea, sostenendo che i dazi, variabili tra il 7,8% e il 35,3%, rappresentano una misura punitiva e discriminatoria.

Come riporta Mondo Motori, BMW produce veicoli elettrici come la Mini Cooper e l’Aceman in collaborazione con il gigante cinese Great Wall Motors.

Queste vetture, a causa dei dazi approvati nell’ottobre 2024, subiscono un’imposta aggiuntiva del 20,7%.

Quindi, sarebbe una beffa perchè i modelli tedeschi, che già sono ben più cari della concorrenza cinese, sarebbero ancor più svantaggiati; ecco perchè anche BMW si è aggiunta ai produttori cinesi nella causa contro l’Ue.

L’Ue, invece di imporre i dazi, potrebbe dare sussidi alle case automobilistiche europee proprio come fa la Cina; così facendo, invece, penalizza anche l’export del mercato alimentare dato che la Cina ha appunto aggiunto nuove tasse sui prodotti europei.

Ranking competitività europea: la Polonia supera l’Italia

Meglio di noi anche Repubblica Ceca, Lituania ed Estonia.
Ecco gli altri piazzamenti.




La Polonia è salita nell’IMD World Competitiveness Ranking 2024, posizionandosi al 41º posto, il miglior risultato degli ultimi quattro anni.

Sebbene siano migliorati alcuni indicatori chiave come l’efficienza economica, l’efficacia del governo e l’infrastruttura, la competitività aziendale è leggermente diminuita.

Nella classifica, stilata dall’Istituto Svizzero per lo Sviluppo della Gestione (IMD), la Polonia si è posizionata dietro al Giappone ed alla Spagna, ma ha superato l’Italia.

Singapore ha conquistato il primo posto, salendo di tre posizioni e detronizzando la Danimarca.

La Svizzera si è classificata al secondo posto.

Nei primi posti dominano i paesi europei, ma anche alcuni asiatici, come Hong Kong e Taiwan.

Gli Stati Uniti si sono posizionati al 12º posto, mentre la Cina al 14º.

Nella regione, la Polonia ha avuto un risultato medio: si sono posizionate meglio la Repubblica Ceca, la Lituania e l’Estonia, mentre più in basso la Romania, l’Ungheria e la Slovacchia.

Come riporta Polonia Oggi, gli esperti sottolineano che la competitività economica non si basa solo sul PIL e sulla produttività, ma anche su aspetti politici, sociali e culturali.

I governi giocano un ruolo chiave nel creare condizioni favorevoli per uno sviluppo sostenibile.

Il professor Arturo Bris osserva che le piccole economie, come la Svizzera o la Danimarca, raggiungono più facilmente un consenso politico e beneficiano di un buon accesso ai grandi mercati.

La Germania, invece, ha problemi di rapidità di adattamento, evidenti soprattutto nel contesto dei cambiamenti globali e della guerra in Ucraina.

Bris sottolinea che le future economie competitive saranno quelle che meglio si adatteranno al contesto globale in evoluzione, creando al contempo valore e benessere per i loro cittadini.

UniCredit: chiusure in Asia Pacifico

Il gruppo riduce la presenza.
Riduzione dei servizi e chiusura di alcuni uffici.

Non saranno più offerti servizi bancari di base in Asia Pacifico alle filiali locali di propri clienti europei.

Questa la decisione di UniCredit che, inoltre, chiuderà gli uffici di Shanghai, Singapore e Tokyo.

Stando a quanto riporta “Reuters”, la mossa si inquadra nella più ampia strategia di semplificazione del business nell’ambito del piano al 2024 presentato a dicembre dal nuovo AD Andrea Orcel.

Saranno invece mantenuti gli uffici di Hong Kong, dove il gruppo eroga servizi per i clienti corporate e finanziari asiatici che svolgono attività in Europa.

Per quanto riguarda servizi corporate come transaction e forex, invece, UniCredit si servirà di un’ampia rete di banche di corrispondenza per servire i propri clienti europei.

Hong Kong: Xi cambia i vertici militari

Si teme una linea dura da parte del presidente cinese.
Peng già famoso per politiche repressive.

Xi Jinping, il presidente cinese, ha cambiato i vertici dell’esercito di Hong Kong, nominando Peng Jingtang comandante della guarnigione dell’Esercito popolare di liberazione (Pla).

Come riporta “Tgcom24”, questa mossa fa temere la decisione di Pechino di andare verso una linea dura dato che Peng, già vice capo di Stato maggiore delle forze di polizia armate dello Xinjiang, secondo gli Usa è noto per aver attuato politiche repressive contro le minoranze musulmane, a partire da quella uigura.

Hong Kong abbraccia la Cina: giganti del web se ne vanno

Al centro del dibattito la nuova legge sulla privacy.
L’ex colonia britannica sempre più nelle mani del Dragone.

Hong Kong si spinge sempre più verso la Cina.

Negli ultimi tempi abbiamo visto come la Cina abbia imposto leggi inerenti alla “sicurezza nazionale” che prevedano l’assenza di giuria nei processi (approfondimento al link) e come qualsiasi forma di democrazia stia per essere repressa (approfondimenti ai link 1 e link2).

Vista questa volontà dell’ex colonia britannica di abbracciare sempre più la Cina, i giganti del web minacciano di lasciare il Paese, smettendo di fornire servizi in segno di protesta per la decisione di modificare la legge sulla privacy.

Google, Facebook, Twitter ed Apple hanno infatti mandato una lettera all’Asia Internet Coalition, sostenendo che gli emendamenti proposti alla legge sulla privacy ad Hong Kong potrebbero vedere le persone colpite da “sanzioni severe”.

La lettera inviata al commissario della privacy dei dati personali, Ada Chung Lai-ling, è stata pubblicata anche dal Wall Street Journal e riporta quanto di seguito:

L’introduzione di sanzioni rivolte non è in linea con le norme e le tendenze globali. L’unico modo per evitare queste sanzioni per le società tecnologiche sarebbe quello di astenersi dall’investire e offrire i propri servizi a Hong Kong, privando così le imprese ed i consumatori di Hong Kong, creando al contempo nuove barriere al commercio.

Hong Kong, dal lato suo, non intende indietreggiare; la governatrice Carrie Lam, per esempio, ha detto che estenderà a più aree della società la legge sulla sicurezza nazionale ed ha descritto la legge imposta da Pechino come di seguito:

Il principale punto di svolta nel passaggio di Hong Kong dal caos all’ordine, con un effetto indiscutibile nella stabilizzazione della società. Faremo in modo che questo progetto venga compreso ed instaurato pienamente, estendendosi ad aree come la politica, società, economia, cultura, tecnologia, Internet, finanza e salute pubblica.