La parola ai lettori – Boris Johnson: inversione a U sul coronavirus

Improvviso cambio di fronte di Boris Johnson.
Piano di emergenza da 330 miliardi di sterline da una parte e scuole aperte dall’altra alimentano i dubbi.

Aveva fatto una conferenza stampa dai toni forti, pochi giorni fa, il Primo Ministro del Regno Unito.

Parlando al suo popolo, era arrivato a dire “preparatevi a perdere i vostri cari”.

Gli aveva fatto eco Patrick Vallance, ovvero il consigliere scientifico, che, come riporta “TGCOM 24”, sosteneva quanto di seguito:

Circa il 60% della popolazione del Regno Unito dovrebbe essere infettato dal coronavirus per far sì che la società possa guadagnare una immunità di gregge dai futuri focolai, dato che l’infezione potrebbe tornare di anno in anno. Pensiamo che questo virus probabilmente si presenterà di anno in anno diventando come un virus stagionale. Se la comunità ne diventerà immune, questa rappresenterà una parte importante del controllo a lungo termine. Circa il 60% è la percentuale necessaria a ottenere l’immunità di gregge.

Lunedì 16 marzo abbiamo assistito a due dichiarazioni contrastanti da parte di Boris Johnson: la prima conferma la linea sopracitata (approfondimento al link), la seconda invita la popolazione a rimanere a casa, se possibile (approfondimento al link).

Il cambio di linea, come conferma anche “La Repubblica” (approfondimento al link), sembra arrivare dalla pubblicazione da parte dei ricercatori dell’Imperial College del report sui rischi derivanti dal coronavirus (pubblicazione al link).

In estrema sintesi, il report sostiene che “se si fosse continuato ad ignorare la minaccia, ossia frapponendo una risposta quasi assente anti-coronavirus, negli Usa ci sarebbero stati 2,2 milioni di morti e fino a 510 mila nel Regno Unito”.

Considerando che l’epidemia è già presente in molti altri Stati, si esclude che il cambio di linea sia dovuto al fatto di essersi fatti prendere impreparati (come poteva esserlo invece la Cina all’inizio).

Sorge quindi spontaneo chiedersi se il report generato dall’Imperial College abbia avuto un così forte impatto sul governo britannico o se, invece, la decisione sia dovuta ad altri fattori (abbiamo già visto cosa ci possa essere dietro al coronavirus, reperibile a questo link).

Ad incrementare la curiosità in merito alle decisioni di Boris Johnson arriva il fatto che il Regno Unito abbia preparato per l’emergenza un piano da almeno 330 miliardi di sterline (in sintonia con le altre nazioni: America 1.200 miliardi di dollari, Germania 550 miliardi di euro, Spagna 200 miliardi di euro, Svezia 300 miliardi di corone svedesi, Italia 25 miliardi di euro) ma, nonostante il report dell’Imperial College, la scuole rimangano al momento aperte.

(Ringraziamo il nostro lettore M. C. per averci segnalato questo spunto interessante)

L’Iran tra l’accordo sul nucleare e le proteste degli studenti

L’Iran nel caos esterno ed interno: da una parte allo scontro con gli Usa si aggiungono le pressioni europee per l’accordo sul nucleare, dall’altra la rivolta degli studenti.

È in affanno la dirigenza della repubblica islamica dell’Iran.

Il conflitto con gli Usa sta producendo tutta una serie di reazioni a catena, sia dal punto di vista esterno che interno.

Se sono ormai noti gli accadimenti tra i due Paesi, dall’assalto all’ambasciata americana di Baghdad (approfondimento al link) all’attacco alle basi americane (approfondimento al link) passando per l’uccisione di Soleimani (approfondimento il link) e la presa di posizione di Israele (approfondimento al link), dal punto di vista esterno arrivano altre pressioni: Germania, Francia e Regno Unito avrebbero infatti alzato la voce contro l’Iran, dicendo che “deve assolutamente tornare a rispettare gli accordi sul nucleare” (approfondimento al link), ovvero uno dei motivi che hanno scatenato l’attacco da parte degli Usa.

Come se non bastasse, ad agitare le acque anche a livello interno arrivano le proteste degli studenti: veglie e manifestazioni davanti all’università di Teheran, poi estese per le città di Isfahan, Mashhad, Sanandaj e Amol, con epicentro la marcia verso piazza Azadi.

Tutti muniti di candele accese in mano ai canti di “morte al dittatore”, “chiedete scusa e dimettetevi”, “vergonga”. “il nemico non è l’America, è fra noi”, “via il capo delle forze armate”.

Proprio quest’ultimo coro, significherebbe “via la guida suprema Ali Khamenei”.

Le manifestazioni procedono poi rovesciando i simboli, strappando le immagini di Soleimani ed ancora evitando appositamente di non camminare sulle bandiere americana ed israeliana volutamente dipinte all’ingresso degli atenei, così da non calpestarle.

Ancora, la campionessa sportiva e medaglia olimpica di taekwondo Kimia Alizadeh, prima esaltata dal regime, ora annuncia di voler fuggire in Europa.

Trump, via Twitter, invita l’Iran a “non uccidere la propria gente” ed appoggia la protesta degli studenti.