Camion elettrici: Nikola verso il delisting

Le azioni nel Nasdaq sono inferiori a un dollaro da 30 giorni.
Crollo generale dell’elettrico.

Dal boom dell’estate 2020 all’ipotesi di delisting forzato.

È una metamorfosi veloce, quella di Nikola, produttore di camion elettrici che rischia di essere cancellato dal Nasdaq.

L’azienda con sede a Phoenix, che per quattro anni è stata anche partner di Iveco, ha reso noto che il 24 maggio ha ricevuto un avviso di delisting perché il prezzo delle sue azioni è stato inferiore a un dollaro negli ultimi 30 giorni.

Ora il produttore di veicoli elettrici ha tempo fino al 20 novembre per conformarsi alla regola del prezzo minimo del Nasdaq, che richiede che il prezzo delle azioni sia superiore a 1 dollaro per 10 giorni lavorativi consecutivi.

In caso contrario, come riporta Il Sole 24 Ore, il titolo sarà delistato.

Dicevamo della veloce metamorfosi finanziaria di questa società: le azioni di Nikola raggiungevano i 65,90 dollari.

Nel 2020, quando la SPAC era guidata da Trevor Milton, co-fondatore ed ex Ceo della società, poi incriminato per frode sui titoli federali.

Oggi il titolo oscilla poco sopra i 50 centesimi, e l’emorragia è proseguita con la notizia del possibile delisting.

C’è da dire che il caso Nikola è abbastanza indicativo di un settore, quello dei produttori “nativi” di veicoli elettrici, che Tesla a parte si è un po’ scontrato con la realtà dei fatti: un mercato sopravvalutato dalle scelte politiche e che ora ne sta pagando le conseguenze.

Lordstown Motors, altro produttore americano di auto elettriche, ha ricevuto un avviso analogo di delisting nelle scorse settimane.

Avviso che, insieme al mancato accordo con Foxconn, hanno spinto Lordstown a emettere un frazionamento azionario.

Molte di queste società sono state attratte, negli ultimi tre anni, dal capitale a cui possono accedere attraverso i mercati pubblici.

L’uso della Spac come strumento finanziario è sembrato funzionare, almeno all’inizio, mentre ora sembra arrivato l’inverno finanziario per aziende come Nikola e altre Spac come Arrival, Bird e Canoo.

Nikola ha lavorato per raccogliere più fondi emettendo più azioni, e sta esortando gli azionisti a votare per una proposta che le consentirebbe di aumentare il numero di azioni ordinarie della sua società.

L’approvazione di questa proposta richiede il voto favorevole di oltre il 50% delle sue azioni in circolazione.

Altro caso emblematico è quello di Rivian, produttore di suv e pick-up elettrici che approdò a Wall Street nel novembre 2021 facendo registrare un incredibile +38% nel giorno del debutto: il titolo viaggiava oltre i 120 dollari, meno di due anni fa, ed era entrato nell’empireo dei big dell’Auto: oggi oscilla poco sopra i 15.

Meta: 10.000 licenziamenti

Nel mirino gli addetti ai lavori tecnici.
Zuckerberg: “2023 anno dell’efficienza”

10.000 posti di lavoro tagliati.

Meta ha avviato il secondo round di 10mila licenziamenti annunciato a marzo partendo dai lavoratori addetti ai ruoli tecnici.

Nello specifico, come riporta Milano Finanza, i dipendenti delle aree di ingegneria del software, programmazione grafica ed esperienza con gli utenti hanno rivelato su LinkedIn di aver perso il posto di lavoro.

Tra i licenziati ci sarebbero anche i componenti del team prodotti, i dipendenti che si occupano dei giochi, dell’area legale e delle risorse umane, a cui si aggiungono gli impiegati nei ruoli legati alla finanza.

A Wall Street il titolo di Meta è in perdita: il 19 aprile scambia a 215,76 dollari (-1%).

Dopo il crollo delle entrate pubblicitarie nel 2022 e il prezzo delle azioni in caduta libera, la holding di Facebook, Instagram e WhatsApp aveva già annunciato un primo round di licenziamenti a novembre, che aveva riguardato 11mila lavoratori.

A marzo è arrivato un ulteriore piano da 10mila tagli, con conseguenti costi di ristrutturazione compresi tra i 3 e i 5 miliardi di dollari.

D’altronde il ceo Mark Zuckerberg aveva definito il 2023l’anno dell’efficienza”, con Wall Street che aveva applaudito il progetto di ridimensionamento.

Le azioni Meta sono salite dell’81% nel 2023 dopo aver perso circa i due terzi del loro valore nel 2022.

I ricavi sono diminuiti per tre trimestri consecutivi e gli analisti prevedono un nuovo calo delle vendite trimestrali nel primo trimestre del 2023.

Goldman Sachs: pronti 4.000 licenziamenti

Dopo i 500 tagli di settembre, posto a rischio per l’8% della forza lavoro.
L’operazione potrebbe concludersi già entro gennaio. Tagli anche per gli altri gruppi.

Goldman Sachs prepara il licenziamento di quattromila dipendenti, l’8% della sua forza lavoro, nel più duro giro di vite sui costi tra i protagonisti di Wall Street.

I grandi marchi della finanza risentono del nuovo clima di debolezza economica, con inflazione e tassi d’interesse in rialzo e la guerra in Ucraina irrisolta che hanno aggravato brusche frenate nei deal, dalle fusioni e acquisizioni ai collocamenti.

I tagli a Goldman, secondo le indiscrezioni riportate da Il Sole 24 Ore, potrebbero scattare entro fine gennaio, prima forse del pagamento dei tradizionali bonus che nel settore rappresentano una voce significativa dei compensi.

La banca aveva già eliminato 500 posti a settembre e indicato di voler considerare riduzioni di almeno il 40% nei premi a migliaia di investment bankers, un record dalla crisi del 2008.

Goldman, con le nuove mosse, si erge a simbolo della corsa all’austerità, con Wall Street che potrebbe seguire la strada imboccata dall’hi-tech nell’archiviare facili espansioni pandemiche e post-pandemiche.

Di recente Morgan Stanley ha cancellato 1.600 posti, il 2% del totale; Citigroup ne ha eliminati a decine, dall’Europa all’Asia.

JP Morgan e Bank of America hanno in cantiere sforbiciate ai bonus del 30% e gli analisti spingono le stime per l’intera alta finanza, a conti fatti, ormai verso il 50%.

Tra i gruppi globali tagli sono in programma anche a Credit Suisse, 2.700, e Barclays, circa 200.

Goldman è parsa tra gli istituti americani più esposti alla necessità di risparmi, reduce da ondate di assunzioni che hanno spinto il numero totale dei dipendenti a 49.100 a fine settembre, in rialzo del 14% dall’anno scorso e del 28% da fine 2019.

Aveva sospeso persino la tradizionale pratica annuale di licenziare chi ha le performance più deboli, abitualmente tra l’1 e il 5% dei dipendenti.

Il quintetto composto da Goldman, Morgan Stanley, JP Morgan, Bofa e Citi aveva nell’insieme aumentato gli organici di oltre 60.000 dipendenti in 3 anni, del 10% in media.

Alla banca di Wall Street per eccellenza la nuova ristrutturazione dovrebbe riguardare tutte le attività, in particolare centinaia di dipendenti nel suo business al consumo Marcus, una delle scommesse degli ultimi anni dove la società ha però ammesso cocenti delusioni.

Il chief executive David Solomon non ha fatto mistero di prevedere tempi più difficili.

Ad una recente conferenza di settore aveva sottolineato di “percepire venti contrari, soprattutto nel breve periodo” e di aver messo in moto piani per “mitigare le spese”.

Nel terzo trimestre del 2022 Goldman aveva riportato flessioni dei profitti del 43% e delle entrate del 12%, con l’investment banking caduto del 57%.

Meta: crollo in Borsa

La società di Zuckerberg delude gli analisti.
Crollo superiore al 20% e perdite di oltre 200 miliardi.

Meta, la società di Mark Zuckerberg che ha recentemente cambiato nome e che è proprietaria di Facebook, Whatsapp ed Instagram, non ha ottenuto almeno per il momento i risultati desiderati.

Come riporta “Euronews”, infatti, l’andamento dell’ultimo trimestre non ha soddisfatto gli analisti, facendo crollare le azioni in Borsa di oltre il 20% e causando una perdita superiore ai 200 miliardi di dollari.

La pubblicazione dei dati di Meta relativi all’ultimo trimestre del 2021 ed alla loro prima pubblicazione dopo il cambio di nome che era avvenuto ad ottobre, ha visto le azioni toccare un valore di 3,67 dollari cadauna, anziché gli attesi 3,84; l’utile netto è stato di 10,29 miliardi di dollari, che equivale al -8% rispetto quanto previsto dagli analisti.

Per il trimestre in corso, invece, sono previsti ricavi tra i 27 ed i 29 miliardi di dollari, contro le attese degli analisti che erano stimate intorno ai 34,53 miliardi.

Su Wall Street le azioni Meta hanno riaperto a -24%.

Scontro Usa-Iran: oro e petrolio schizzano sul mercato

Impatto dello scontro tra Usa ed Iran su Borse e mercato: schizzano oro e petrolio,

Tiene banco sotto tutti i punti di vista lo scontro tra Usa ed Iran, lo scontro che potrebbe scatenare la terza guerra mondiale (approfondimento al link).

L’uccisione di Soleimani per ordine di Trump (approfondimento al link), legata al mostruoso incremento della produzione nucleare dell’Iran (approfondimento al link) e che ha portato poi alla controreazione iraniana, sta avendo ripercussioni anche dal punto di vista economico.

Sul mercato, infatti, schizzano le quotazioni del petrolio e dell’oro.

Il primo è arrivato alla quota di 65 dollari al barile, facendo registrare un aumento del 3,4%; il secondo ha toccato quota 1.600 dollari l’oncia, ovvero il massimo dal 2013.

Di contro, ciò che ha subìto un forte calo, sono stati i contratti futures sull’azionario di Wall Street. Tutte in ribasso, inoltre, le borse asiatiche dopo gli attacchi iraniani alle basi Usa (approfondimento al link).

La Borsa di Tokyo ha chiuso a -2,45% mentre Hong Kong a -1,49% e con Shangai che registra un -0,49%.

Sotto il profilo delle valute, invece, il dollaro americano cede sullo yen mentre l’euro sale leggermente.