Le 10 città più inquinate al mondo

Vale la pena intestardirsi sulle auto elettriche quando la sola Shanghai inquina più di tutta l’Ue?
La top ten è tutta in Aisa.

Nonostante l’Ue si intestardisca con le auto elettriche quando la sola Shanghai inquina più di tutta l’Ue, le zone più inquinate al mondo non sono in Europa.

Le 10 città più inquinate al mondo si trovano, infatti, tutte in Asia.

Ecco, come riporta Esquire Italia, la classifica delle prime 10 città più inquinate al mondo:

10 – Hanoi, Vietnam
9 – Shanghai, Cina
8 – Mumbai, India
7 – Pechino, Cina
6 – Jakarta, Indonesia
5 – Kabul, Afghanistan
4 – Ulaanbaatar, Mongolia
3 – Dhaka, Bangladesh
2 – Lahore, Pakistan
1 – Nuova Delhi, India

Polonia, Tusk lancia campagna internazionale contro migrazione illegale

Il video è disponibile in 6 lingue; il messaggio: chi vi promette una vita agiata in Europa lo fa per interesse personale.
Il confine polacco è fortemente protetto da moderni sistemi di sicurezza, muri e migliaia di soldati.

Il primo ministro polacco Donald Tusk ha annunciato suo social media l’avvio di una campagna informativa internazionale contro la migrazione illegale.

L’iniziativa ha lo scopo di scoraggiare i cittadini dei paesi africani e mediorientali dal tentare di attraversare illegalmente il confine polacco per entrare in Europa.

Un video appositamente realizzato, disponibile in sei lingue, sarà trasmesso in Afghanistan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Kenya, Iraq, Pakistan ed Egitto.

Come ha sottolineato il primo ministro, il messaggio è chiaro: il confine polacco è fortemente protetto da moderni sistemi di sicurezza, muri e migliaia di soldati.

Il narratore dello spot avverte i potenziali migranti che chi promette loro una vita agiata in Europa lo fa per interesse personale.

La campagna era già stata annunciata da Tusk durante il suo discorso programmatico al Parlamento polacco, il Sejm, come parte di una strategia più ampia atta a limitare la migrazione illegale dai cosiddetti “paesi ad alto rischio”.

La decisione è legata all’aumento della pressione migratoria al confine polacco-bielorusso dove la Guardia di Frontiera segnala quotidianamente numerosi tentativi di attraversamento illegale, comportamenti aggressivi e attacchi fisici contro i funzionari.

Come riporta Polonia Oggi, solo nella giornata di mercoledì scorso si sono registrati oltre 230 tentativi di ingresso irregolare in Polonia, e dall’inizio dell’anno si contano oltre 10.000 episodi simili.

In risposta a questa situazione, il 27 marzo il governo ha introdotto una limitazione temporanea del diritto di richiedere protezione internazionale al confine con la Bielorussia.

L’esercito indiano annuncia l’operazione militare in Pakistan

“Operazione Sindoor” contro le infrastrutture terroristiche.
Il Pakistan chiude lo spazio aereo per 48 ore.

L’esercito indiano annuncia l'”Operazione Sindoor“.

Con questa operazione, comunicata ufficialmente dal ministero della Difesa indiano, l’esercito sta prendendo di mira “le infrastrutture terroristiche in Pakistane nel Jammu e Kashmir occupato dal Pakistan“.

Il Pakistan ha chiuso il suo spazio aereo per 48 ore.

Omosessualità: ecco dov’è illegale nel mondo

Le pene vanno dal carcere alla pena di morte, passando per il ricovero psichiatrico.
Ecco la lista dei Paesi in cui l’omosessualità è reato: meglio non visitarli se siete una coppia lgbtq+.

Mentre prendono sempre più piede le manifestazioni lgbtq+, ci sono degli Stati al mondo che considerano l’omosessualità un reato.

Un reato da punire con il carcere e/o il ricovero psichiatrico, per esempio.

Di seguito, la lista redatta da Stars Insider che, se siete una coppia lgbtq+, forse non vi conviene visitare.

L’Afghanistan, dove si può arrivare alla pena di morte per il reato di relazioni tra lo stesso sesso; l’Algeria, che prevede sanzioni economiche e carcere.

Bangladesh, dove si può arrivare all’ergastolo; Brunei, che prevede la morte per lapidazione anche nel caso in cui maschio si spacci per donna e viceversa.

Burundi, Camerun, Chad e Marocco prevedono carcere e multe; Cecenia, dove si verificano rapimenti ed uccisioni.

In Dominica un adulto può rischiare da quattro a dieci anni di prigione e il ricovero in un ospedale psichiatrico; Egitto, che prevede il carcere e l’eventuale ricovero in un “riformatorio speciale”. Poi l’Eritrea ed il Myanmar, che prevedono il carcere mentre in Eswatini ed in Namibia la pena non è precisata.

Ancora, l’omosessualità è reato in Etiopia, Ghana, Grenada, Kenya, Kiribati, Kuwait, Libano, Liberia, Libia, Malawi, Oman, Palestina, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Samoa, Senegal, Isole Salomone, Sudan, Sudan del Sud, Sri Lanka, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Tuvalu, Uzbekistan, Zambia, Papua Nuova Guinea e Guinea, dove viene punita con la galera, in Gambia e Guyana, dove si rischia anche l’ergastolo.

L’Iran prevede la fustigazione e la morte, la Malesia e le Maldive prevedono la fustigazione ed il carcere, la Giamaica il carcere ed i lavori forzati.

In Mauritania si può essere lapidati oltre al carcere.

In Nigeria è previsto il carcere ma nei posti in cui vige la sharia anche la pena di morte; discorso simile in Pakistan, dove sono previsti carcere e sanzioni ma anche frustate o morte dove vige la sharia. In Qatar stessa regola: carcere ma anche pena di morte dove vige la sharia.

Sulla stessa lunghezza d’onda la Somalia, dove è previsto il carcere ma anche la pena di morte dove vige la sharia.

In Arabia Saudita scatta la lapidazione, mentre in Sierra Leone e Tanzania l’ergastolo.

Ancora, in Togo ed nello Zimbabwe sono previsti galera e multe; a Tonga la galera e la fustigazione.

In Uganda oltre all’ergastolo è prevista la pena di morte nel caso di “omosessualità aggravata”. Negli Emirati Arabi Uniti è previsto il carcere ma si rischia anche di entrare nel “crimine capitale”.

Nello Yemen gli uomini sposati possono essere condannati a morte, mentre quelli non sposati rischiano frustate o un anno di prigione, mentre le donne rischiano fino a sette anni di prigione.

L’India cambia nome

Dopo Bangladesh, Myanmar e Sri Lanka, altro cambio di nome per staccarsi dal passato.
Ecco il nuovo nome.

Dal 18 al 22 settembre il parlamento indiano si riunirà in sessione straordinaria.

L’agenda dei lavori non è nota, ma spifferi di palazzo raccontano che in quei giorni sarà depositata la proposta ufficiale per il cambio di nome dell’India in “Bharat”, stando a quanto riporta Italia Oggi.

Nel corso del vertice, a Nuova Delhi, il nome “Bharat” ha sostituito (e non affiancato) il toponimo “India”.

È accaduto prima dell’evento, su un invito a cena agli ospiti, firmato da Droupadi Murmu, capo di stato del paese, che si è qualificata: «Presidente del Bharat».

Durante il G20, alla conferenza di apertura del summit, dove il posto di Modi recava la scritta “Bharat”.

Infine, in un documento diffuso dal portavoce del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito al governo, espressione del nazionalismo indù: il testo riguardava una riunione fra India e Asean (l’associazione dei paesi del sud est asiatico) e definiva Narendra Modi: «Primo ministro di Bharat».

Occhio, tutto ciò non è una mera trovata elettorale del premier indiano, al potere dal 2014 e atteso alle elezioni generali nel maggio 2024, è un fattore di natura geopolitica.

Il nome “Bharat” è già nella costituzione indiana, all’art. 1, assieme al più conosciuto “India”; è anche sui passaporti, ma non è mai stato usato fuori dal paese, nei consessi ufficiali.

A sancirne il debutto al G20 non è stato Modi, espressione della maggioranza, ma la presidente, rappresentante del paese.

Il termine è in sanscrito, deriva dagli antichi testi religiosi indù ed è presente anche nell’opera epica più rilevante della nazione, il “Mahabharata”.

Per il popolo indica l’India stessa, nella sua accezione più autentica, riferita alla religione dominante, ovvero l’induismo.

Anche “India” e “Hindustan” (dal persiano) sono nomi antichi della nazione, legati al fiume Indo che attraversa il paese, ma il primo si è imposto da Occidente, con l’arrivo di Alessandro Magno su quelle sponde, il secondo è frutto di 300 anni di dominazione musulmana Moghul.

Dunque, il cambio di nome riporta il paese all’origine, recidendo ogni legame storico, prima con la dinastia imperiale islamica, poi con l’impero britannico che l’ha sostituita.

È una rivincita linguistica sul colonialismo, eppure non è un inedito nel quadrante, nei territori già occupati dalla corona inglese: il Bangladesh era il Pakistan orientale, il Myanmar è la Birmania di ieri, lo Sri Lanka si chiamava Ceylon.

Ciò che cambia è la forza impressa al colpo di spugna, nel paese più popoloso al mondo. Un chiaro segnale all’Occidente, non più egemone.

Smacco anche per Londra, che vede le sue illusioni di potenza archiviate dalla storia.