Imbarazzo europeo per la candidatura di Di Maio

Livello linguistico definito da “debuttante” e “scarsa conoscenza della situazione”.
No del governo italiano alla sua nomina da inviato nel golfo Persico.

Anche a Bruxelles iniziano a serpeggiare dubbi e perplessità sulla possibile nomina di Luigi Di Maio come inviato speciale dell’Unione europea nel Golfo Persico. Si tratta, infatti, di una opzione sul tavolo che però non è stata ancora ufficializzata.

Sono bastate comunque delle semplici voci per far storcere il naso a qualche esponente dell’Ue tanto che, stando a quanto appreso e riportato da Le Monde, l’ipotesi sta sollevando una serie di “dubbi” a Bruxelles. L’incarico all’ex ministro degli Esteri ora è da considerare in bilico?

Il quotidiano tiene a sottolineare che una decisione formale non è stata ancora adottata e che ci sono diverse titubanze sulle questioni che l’ex grillino sarebbe chiamato ad affrontare in prima persona.

Infatti un diplomatico citato in forma anonima ha fatto notare che “le sue competenze, soprattutto la sua conoscenza da debuttante dell’inglese e la sua scarsa esperienza nel Golfo, rendono curiosa questa scelta“.

Dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) vogliono rimarcare che “non è stata presa alcuna decisione“, motivo per cui ogni indiscrezione viene bollata come “pura speculazione“.

Nella divisione Medio Oriente l’atmosfera si sarebbe “resa tesa” in merito all’argomento: “Sembra che Di Maio abbia fatto un colloquio molto buono“, fa sapere una fonte.

L’opzione Di Maioha creato una grande sorpresa” ma, afferma un ex dirigente italiano del settore energetico, “non cambierà molto” perché “gli Stati produttori continueranno a trattare con le compagnie nazionali“.

Sulla vicenda si è subito palesata la contrarietà del governo italiano; nello specifico Forza Italia e Lega si sono mostrati molto ostili alla possibile nomina di Luigi Di Maio.

La selezione per l’incarico di inviato speciale Ue nel Golfo Persico è ormai giunta alle fasi finali della discussione e non rimane molto tempo, ma il centrodestra vuole mettere le cose in chiaro e fare chiarezza sull’ipotetico ruolo dell’ex titolare della Farnesina.

Per Antonio Tajani, ministro degli Esteri, l’indicazione di Di Maio sarebbe avvenuta a opera del governo guidato da Mario Draghi: “Non è la proposta di questo governo, ma di quello precedente“.

Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ritiene che l’attuale esecutivo di Giorgia Meloni non possa sostenere la sua candidatura e ha evocato anche profili di carattere giuridico che andrebbero esaminati:

Non ci sarebbe soltanto un gigantesco conflitto di interesse a carico di Di Maio, ma anche un evidente coinvolgimento di organismi comunitari in discutibili condotte che non possono servire per la ricollocazione di un disoccupato della politica“.

Si è accodato alle polemiche anche il leghista Matteo Salvini: il ministro delle Infrastrutture ha dichiarato che se Di Maio andrà a rappresentare l’Italia nel mondo non sarà “a nome mio, vostro o di questo governo“.

Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, ha chiesto a Bruxelles di ascoltare “le nostre indicazioni” visto che adesso c’è un governo differente da quello passato.

Rama: contrabbando di vaccini con Di Maio

Parla il Premier albanese sui vaccini anti-Covid.
La confessione all’evento “La Cultura salverà il mondo”.

Con Luigi Di Maio “abbiamo fatto insieme un’operazione di contrabbando” di vaccini anticovid.

A parlare è il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, che a Bergamo è intervenuto all’evento “La Cultura salverà il mondo”, alla presenza anche del responsabile della Farnesina.

Più precisamente, le sue parole sono state le seguenti:

Racconto oggi una cosa che nessuno sa. Se io sono un albanese-italiano, Di Maio è un napoletano-albanese, abbiamo fatto insieme un’operazione di contrabbando. Che italiano o albanese sei, se sei sempre in linea con la legge?”.

Come riportano diverse testate, Rama ha detto che nel periodo in cui il Covid colpiva duramente l’Albanianon avevamo nessun vaccino e la pressione era altissima. La gente aveva paura di morire come pesci fuori dall’acqua ma non potevamo avere il vaccino. Ho chiesto a Luigi: ci potete dare un quantitativo simbolico ma per noi importante per cominciare a fare i vaccini a medici e infermieri? Pfizer aveva un contratto imperialista, capitalista: io do i vaccini a te ma tu non li puoi dare a nessuno. Una cosa tutt’altro che cristiana. Luigi ha detto: non possiamo farlo perché facciamo una cosa gravissima. Ma l’abbiamo fatto tramite un’operazione con i servizi segreti. Una cosa incredibile, il ministro degli Esteri dell’Italia e il primo ministro dell’Albania che passavano della merce di contrabbando per salvare delle persone“. 

Rama ha poi aggiunto:

Poi non potevamo nascondere i vaccini, dovevamo pure somministrarli. Gli avvocati di Pfizer minacciavano cause e volevano sapere come li avevamo avuti, ma noi dicevamo solo: da un Paese amico“.

E quando chiedevano quale Paese “io ho detto: sapete, abbiamo imparato dai napoletani che non bisogna mai mollare un amico davanti alla polizia e così io non mollo l’amico. Adesso avrai i giornali che diranno addirittura un contrabbandiere“.

Rama ha infine rassicurato Di Maio in merito a eventuali polemiche:

Luigi, ormai sei un uomo libero“.

Renzi attacca Letta

Dopo le parole su Di Maio, l’ex premier attacca anche il Segretario del Pd: “In difficoltà, inizia a mentire”.
Poi non risparmia la Meloni.

Matteo Renzi, dopo aver attaccato Luigi Di Maio, si scaglia contro Enrico Letta.

Recentemente, infatti, aveva detto che Di Maio lo criticava sull’uso dell’AirForce ma che lui lo usa 8 volte di più.

Ora si scaglia contro Enrico Letta, suo predecessore alla guida di Palazzo Chigi, e lo fa tramite la newsletter ma anche tramite i social, diventati ormai lo strumento di comunicazione preferito dai politici.

Tra botte e risposte, punzecchiature e vere e proprie liti, ormai il vero confronto politico va in scena sui social.

Le acredini tra Matteo Renzi ed Enrico Letta risalgono al 2014 e, secondo il leader di Italia viva, da quel momento il segretario dem coverebbe del risentimento nei suoi confronti. L’ultimo casus belli tra i due sono state alcune dichiarazioni di Enrico Letta, che hanno infastidito Matteo Renzi, celere nel replicare via social.

Intervistato da “Radio Capital“, come riporta “Il Giornale”, Matteo Renzi ha escluso categoricamente il suo ritorno alla guida del Pd:

È stata un’esperienza bellissima, ma era un Pd completamente diverso da quello di oggi, ovvero un partito che ha fatto scelte sbagliate: penso che dal 26 settembre partirà il congresso, perché la strategia di Letta lo porterà a una sonora sconfitta“.

A tal proposito, infatti, Matteo Renzi ha punzecchiato ancora Letta, lanciando una frecciatina nemmeno troppo velata a Giorgia Meloni e al significato del suo simbolo:

Non sono le alleanze che fanno vincere ma le idee chiare. Con Calenda ho fatto un ragionamento semplice: nel Paese, c’è bisogno di un’area non guidata dalla fiamma di Meloni, ma nemmeno da questo nuovo Pd che ha perso l’idea del riformismo, dominato dal rancore personale di Enrico Letta“.

Afghanistan, Sacchetti: “Occhio a manipolazione mediatica, Russia più astuta”

L’errore è stato mandare le truppe, non toglierle.
La Cina ha una strategia ma non avrà vita facile, Usa lì per interessi non per motivi umanitari.

L’Afghanistan è nel caos.

Il ritiro delle truppe NATO deciso prima dall’amministrazione Trump, dopo confermato e gestito dall’amministrazione Biden, ha riportato il Paese in man ai talebani in men che non si dica.

L’avanzata dei guerriglieri è stata fulminea, conquistando l’intero Paese nel giro di pochi giorni e dichiarando la volontà di creare un Emirato islamico, pronto anche a diventare il Narco-Stato più grande del mondo con una produzione pari al 90% dell’oppio illegale mondiale.

Civili e diplomatici dei Paesi NATO sono stati fatti evacuare mentre dai locali arrivano grida di aiuto come “è già partita la caccia ai cristiani” e “i talebani ci stanno venendo a prendere porta per porta”.

Nel frattempo Biden scarica le colpe su Trump, la Merkel dice che “abbiamo sbagliato tutti”, Johnson e Macron chiedono un G7 d’urgenza, Berlusconi ritiene “vanificati 20 anni di sacrifici per un dispiego frettoloso”, Draghi dice che sta lavorando con l’Ue per la soluzione umanitaria, Di Maio, in vacanza, non è ancora intervenuto sul tema e l’Onu invoca negoziati per un governo di inclusione che preveda la partecipazione significativa di donne (approfondimento al link).

Per cercare di capire al meglio la situazione e come si sia potuto arrivare a questo, ne abbiamo parlato con il dott. Cesare Sacchetti, già giornalista per L’Antidiplomatico, Il Fatto Quotidiano e Libero Quotidiano; fondatore del blog “La Cruna dell’Ago” ed esperto di geopolitica.

Dott. Sacchetti, secondo lei, è stata una scelta corretta quella di ritirare le truppe?

“Certamente sì, perché si è messa fine ad una occupazione, quella della NATO e degli USA, che non sarebbe mai dovuta iniziare. La storia dell’invasione in Afghanistan è la storia di un potere, quello del deep state di Washington, che ha deciso di rovesciare un regime, quello dei Talebani, per interessi di carattere finanziario ed economico. Molti non sanno che i Talebani al principio sono stati finanziati dalla CIA e dalle agenzie di intelligence americane. La stessa CIA che negli anni ’80 ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS riservava parole di elogio per Osama bin Laden. Successivamente quando i Talebani salirono al potere negli anni’90, l’amicizia tra deep state e il gruppo islamista finì. I civili afghani furono proprio coloro che sostennero i Talebani perché ormai completamente saturi dei continui abusi commessi dai signori della droga che seminavano violenza e terrore nel Paese. Quando i Talebani decisero di distruggere tutti i campi d’oppio, infierirono un colpo mortale al traffico d’oppio, dal momento che il 90% di questa droga era prodotto lì. Le ragioni della guerra in Afghanistan sono legate alla enorme mole di denaro che ruota attorno a questo traffico. La guerra non è stata voluta per i diritti umani e su questo basti pensare al fatto che l’Arabia Saudita, Paese che pratica una forma di Islam altrettanto estremo, non è stata sfiorata.”

Era prevedibile ciò che è successo immediatamente dopo il ritiro delle truppe NATO, non crede? Crede sia possibile imputare delle colpe a qualcuno nella gestione della situazione?

“Dopo aver parlato con fonti affidabili a livello governativo che si trovano a Kabul, sono giunto alla conclusione che molte delle immagini che stiamo vedendo sono il risultato di una manipolazione mediatica. A Kabul, non c’è il caos che vogliono farci credere i media. I Talebani stanno persino offrendo assistenza agli Occidentali che vogliono lasciare il Paese. Questa manipolazione mediatica è funzionale a screditare agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il nuovo governo dei Talebani. Alcuni poteri si sono resi conto di aver perso il controllo di un Paese strategico e l’isteria mediatica è una reazione a questa cocente sconfitta.”

Vi è, secondo lei, solo il pretesto per scatenare un’altra guerra che tanto fa bene a certe economie?

“No, non credo. Senza gli Stati Uniti, nessuno sulla carta ha il potere di scatenare una nuova guerra in Afghanistan e i Paesi che avrebbero le potenzialità per farlo, Russia e Cina, non appaiono intenzionati a ingerire militarmente negli affari dell’Afghanistan. Piuttosto sembrano interessati entrambi a riconoscere il nuovo governo.”

La Cina ha lasciato i suoi diplomatici sul Paese e sembra esente da quello che sta accadendo; quale ruolo gioca? E gli altri attori internazionali?

“La Cina non ha nascosto le sue mire espansionistiche sul Paese. Pechino mira a far entrare l’Afghanistan nella via della Seta e a incastrare poi il Paese in quella che è una trappola del debito. Una volta che i Paesi firmatari finiscono in questo meccanismo si trovano sommersi di prestiti che non riescono a ripagare. La Cina a quel punto passa all’incasso e si impadronisce delle risorse minerarie del Paese vittima di questo meccanismo. Tuttavia non credo che sarà così facile per Pechino portare avanti questa strategia. I Talebani sono molto nazionalisti. Non amano che il loro Paese sia sfruttato da potenze straniere, sia che si chiamino NATO o Cina. Per quello che riguarda gli altri attori internazionali, la Russia mi sembra che abbia già assunto una posizione molto lungimirante riguardo al riconoscimento del nuovo governo. Alla fine di questa crisi, il Paese che aumenta di più la sua influenza nell’area non appare affatto essere la Cina. Appare essere la Russia di Putin.”