Pensioni: Macron cede ai lavoratori

In Francia scioperi, proteste, rivolte e manifestazioni; Macron deve indietreggiare sul fronte pensioni.

Dopo i gilet gialli continuano le manifestazioni ed i problemi per Emmanuel Macron.

Questa volta al centro della contesa c’è il tema delle pensioni; gli scioperi e le proteste sono stati incessanti, fino al punto che i supermercati sono rimasti senza prodotti e la spesa quotidiana veniva fatta alle bancarelle dei mercati, con prezzi che arrivavano addirittura al doppio dello standard.

Il presidente francese si è dunque dovuto piegare ed ha ritirato il provvedimento, anche a causa del forte disappunto dei sindacati sull’innalzamento dell’età minima pensionabile, nonostante la soglia francese sia comunque la più bassa d’Europa (62 anni per la maggior parte dei lavoratori, che doveva essere portata a 64 stando alla nuova riforma).

Altro punto era quello inerente al sistema unico che avrebbe sostituito i 42 regimi speciali attuali.

Tuttavia, il più discusso, era legato al fatto che andando in pensione a 62 anni ci si sarebbe ritrovati un malus in busta paga, che di fatto rendeva sconsigliabile scegliere la pensione rispetto al lavorare fino alla soglia dei 64 anni.

Sul tema è intervenuto il primo ministro francese, Edourd Philippe, che, disposto a ritirare in via provvisoria la nuova soglia dei 64 anni pur mantenendo il principio di un’età di equilibrio, ha dichiarato quanto di seguito:

Per dimostrare la mia fiducia nei confronti dei partner sociali e non pregiudicare il risultato dei loro lavori sulle misure da adottare per raggiungere l’equilibrio 2027, sono disposto a ritirare dal progetto di legge la misura di breve termine che avevo proposto, consistente a convergere gradualmente a partire dal 2022 verso un’età di equilibrio di 64 anni nel 2027”.

In Italia l’età pensionabile è fissata a 66 anni, in Germania a 65 con scatto a 67 previsto tra qualche anno, in Spagna la soglia è di 65 anni e 6 mesi ed in Svezia di 61, con la possibilità di arrivare a 65.

Controcorrente, invece, la Polonia, dove il governo di destra ha abbassato l’età pensionabile.

FCA Bank sbarca in Polonia e si porta Leasys

Dopo Irlanda e Belgio, FCA Bank apre anche in Polonia e porta con sé Leasys.

Sbarca anche in Polonia, precisamente a Varsavia, FCA Bank.

Operativa dal primo gennaio 2020, dopo le filiali in Belgio (2018) ed Irlanda (2017), la nuova sede polacca contribuisce alla strategia di accrescimento della competitività internazionale sulla quale la società sta spingendo.

La nuova filiale sarà chiamata a gestire le attività di credito nelle diverse forme, a supporto delle vendite e delle operazioni di marketing del gruppo FCA e degli altri partner automobilistici.

A conferma dell’importanza che FCA dà al territorio polacco, in forte crescita economica da circa un decennio tanto da essere stata recentemente promossa nella fascia dei Paesi sviluppati, la società ha fatto approdare in Polonia anche la controllata Leasys.

Fuga da Amazon

Dopo le varie accuse e le perdite di clienti come Nike e Birkenstock arriva un’altra tegole per Amazon: anche Ikea abbandona la piattaforma e-commerce.

Jeff Bezos, dopo il divorzio più costoso della storia del mondo e l’essere finito nella top ten dei miliardari che più hanno perso a livello economico-finanziario nel 2019 (approfondimento al link), continua a perdere colpi.

La sua azienda Amazon, infatti, è stata ripetutamente al centro delle critiche per il trattamento del personale ed è stata inserita tra le società che non brillano per trasparenza (insieme ad Apple, Disney ed addirittura l’Isis) nel discorso tenuto da Ricky Gervais ai Golden Globe.

Ora, dopo i clamorosi addii di Nike e Birkenstock, arriva un’altra brutta tegola: ha deciso di smettere di vendere i suoi prodotti tramite la piattaforma e-commerce Amazon anche il colosso Ikea.

La decisione di Ikea è arrivata dopo l’avvio del progetto pilota focalizzato sugli articoli di illuminazione smart, che avrebbe fatto registrare un fallimento a causa della necessità di essere veicolata in maniera decisamente più ampia ed efficace.

Non secondario è il problema di minor attrattività che Amazon sta attraversando; i motivi sarebbero legati alla vendita di prodotti contraffatti ed alla mancanza di adeguati controlli in questo senso.

Il problema sta diventando noto al punto che l’American Apparel & Footwear Association, ancora ad ottobre 2019, aveva contrassegnato alcuni dei siti sui quali Amazon si appoggia.

Al momento Ikea sta usando la piattaforma Alibaba ma, come dichiarato circa un anno fa al Financial Times dal chief executive of Inter Ikea Torbjorn Loof, pare ci sia la volontà di lanciare una propria piattaforma per l’e-commerce.

Il nuovo marketplace includerebbe inoltre la vendita di prodotti di terzi senza limiti di categorie, in modo da diversificare il business ed incrementare i profitti grazie ai proventi derivanti dalle transazioni che avverranno tramite la piattaforma stessa.

Amazon perderà dunque una buona quota di mercato, considerando che Ikea è anche in forte movimento: altro business in via di sviluppo è quello legato all’opzione dei mobili in leasing, per il quale è prevista nel 2020 l’ampliamento in 30 mercati, dopo il lancio avvenuto in Svizzera.

Ma non solo: sono previste le aperture, entrambe a New York, di un negozio di piccola taglia (5.000 mq) nell’Upper East, al fine di offrire ai clienti l’opportunità di sedersi con i consulenti di design e di un nuovo store, entro il 2020 e più precisamente nel quartiere del Queens, per attirare i millennial urbani.

Turismo: Italia prima per posti di lavoro creati, ma il problema è la qualità del contratto

Italia prima in Europa per posti di lavoro nel turismo, ma il problema è la qualità del contratto.

L’Italia svetta nella classifica europea dei posti di lavoro creati nel settore turistico.

Stando infatti a quanto riporta il report di EurostatTourism Satellite Accounts in Europe”, dei 16,5 milioni di posti di lavoro creati dal turismo nel 2019 in 15 Paesi, 4,2 milioni riguardano il Bel Paese.

Il numero di persone che hanno trovato lavoro non va però di pari passo con i flussi economici portati dal settore (405.000 milioni di euro); se guardiamo la classifica dal punto di vista degli incassi, in cima troviamo la Francia con proventi turistici pari a 64.221 milioni di euro (ovvero il 16% del totale).

Al secondo posto si posiziona la Spagna che tocca quota 59.213 milioni di euro. Solo terza e con un discreto distacco, nonostante i posti di lavoro creati, appunto l’Italia che fa registrare entrate per 48.148 milioni di euro (il 12% del totale).

Seguono poi Germania (39.555 milioni di euro), Olanda (32.490 milioni di euro) e Gran Bretagna (31.650 milioni). Sommando i primi sei Paesi della classifica si ottiene il 68% dei ricavi totali derivanti dal turismo in Europa.

Altro dettaglio fornito dal report è quello inerente all’impatto che hanno i visitatori che si spostano in giornata: il loro “peso” vale addirittura il 46% del totale.

Quello che emerge è, dunque, la qualità del posto di lavoro creato. Le bellezze e le qualità italiane non sono assolutamente in discussione (anzi, forse le migliori al mondo), ma un Paese con elevato turismo è tale, spesso, anche perché economico.

Da qui il forte problema evidenziato dalle strutture turistiche nel cercare personale; si torna alla solita domanda: perché un giovane o un italiano in generale non vuole fare il cameriere in Italia, ma non ha problemi a farlo a Londra piuttosto che in Australia? La risposta sta nella tipologia del contratto e, quindi, della retribuzione (senza comunque dimenticare ovviamente i plus di un’esperienza all’estero anche sotto il punto di vista linguistico e personale).

Sempre dal report infatti emerge che, nonostante il maggior numero di posti di lavoro creati, il valore aggiunto lordo più alto del turismo no spetti all’Italia. Il primato, in questo caso, va alla Spagna che fa registrare il 27% del totale europeo, con una quota pari a 236.131 milioni di euro.

Il secondo posto in questa classifica va invece alla Germania, che si accaparra il 12% del totale (105.252 milioni di euro) nonostante l’essersi classificata quarta per posti di lavoro creati.

Seguono poi la Danimarca (neanche dentro le top 6 in classifica per posti di lavoro creati) con 89.041 milioni di euro, l’Italia con 87.823 e la Gran Bretagna con 83.492 milioni di euro, pur essendosi classificata 3 posizione dopo l’Italia nel generare posti di lavoro.

I miliardari che più hanno perso nel 2019

Ecco la classifica stilata da Bloomberg dei miliardari che più hanno perso nel 2019.

Si è concluso il 2019 portandosi dietro, come ogni anno, cose positive e cose negative.

Per qualche miliardario, l’annata è stata particolarmente negativa; vediamo di seguito questa classifica negativa inerente ai 10 miliardari che più hanno perso nel 2019, stilata da “Bloomberg”.

Cominciamo dal decimo posto in classifica con Seo Jung-jin, fondatore e presidente di Celltrion, gruppo biofarmaceutico sudcoreano che sviluppa farmaci per il trattamento di cancro, influenza, artrite reumatoide ed altre malattie che ha perso 1,6 miliardi di dollari.

Il prezzo delle azioni di Celltrion è crollato di circa il 15% nel 2019, riducendo il valore netto di Seo a 5,1 miliardi di dollari.

Uno dei motivi del calo delle azioni è stata la vendita di One Equity Partners di proprietà di JPMorgan di una quota del 4,5% in Celltrion per 327 milioni di dollari, avvenuta a maggio. La mossa ha seguito una vendita di azioni da un miliardo di dollari da parte di un altro investitore chiave quale il fondo sovrano di Singapore, Temasek, accaduto ad ottobre 2018.

Nono posto in classifica per George Kaiser, il presidente ed azionista di maggioranza di BOK Financial, la più grande banca dell’Oklahoma. È anche il fondatore di Argonaut Private Equity, nonché proprietario e presidente di Kaiser-Francis Oil.

La fortuna di Kaiser è scesa a 8,6 miliardi di dollari nel 2019, perdendo 1,6 miliardi di dollari.

All’ottavo posto si classifica Harold Hamm, fondatore, presidente esecutivo es ex CEO di Continental Resources, una delle maggiori compagnie petrolifere e di gas americane oltre che un pioniere del fracking.

Quest’anno il prezzo delle azioni di Continental è calato del 15% poiché le vendite di petrolio e gas più deboli hanno comportato un calo sia dei ricavi che dei profitti nei nove mesi prima di settembre. Il calo del valore delle azioni di Hamm ha portato il suo patrimonio netto a $ 10,1 miliardi. La sua perdita è stata pari a 1,7 miliardi di dollari.

Settimo in classifica Wang Wei, cioè il presidente e fondatore di SF Express, la più grande società di consegna pacchi in Cina, con una perdita di 1,9 miliardi di dollari. La sua fortuna è scesa a 8,5 miliardi di dollari nel 2019 a causa del rallentamento dell’economia cinese e della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Anche il prezzo delle azioni di SF è diminuito del 38% dalla fine del 2017.

Sesto posto per Thomas Peterffy, fondatore e presidente di Interactive Brokers, ovvero una delle più grandi piattaforme di trading elettronico della nazione, che ha perso 2,2 miliardi di dollari. Le azioni di Interactive Brokers sono scese del 12% nel 2019 a causa dei timori di una concorrenza più dura, poiché il rivale Charles Schwab ha eliminato le commissioni e ha accettato di acquistare TD Ameritrade .

La fortuna di Peterffy è scesa a $ 15,3 miliardi, ma è ancora classificato come una delle 100 persone più ricche della lista di Bloomberg.

Al quinto posto troviamo Robin Li, cofondatore e CEO del colosso cinese della ricerca online Baidu, che ha visto la sua fortuna ridursi a 9,2 miliardi di dollari nel 2019 con una perdita pari 2,2 miliardi di dollari.

Le azioni di Baidu si sono più che dimezzate da luglio 2018 poiché il rallentamento dell’economia cinese e la guerra commerciale USA-Cina hanno pesato sulla domanda pubblicitaria. Quest’estate, come riporta il Wall Street Journal, la società ha registrato la sua prima perdita trimestrale da quando è diventata pubblica nel 2005.

Quarto si posiziona Tan Siok Tjien che, con la sua famiglia, possiedono oltre il 75% di Gudang Garam, un produttore indonesiano di sigarette ai chiodi di garofano con una quota di mercato nazionale del 20%. Il prezzo delle loro azioni è diminuito di circa il 37% nel corso dell’anno, riducendo la sua fortuna a 7,8 miliardi di dollari e facendo registrare una perdita di 2,2 miliardi di dollari.

Si classifica al terzo posto Hui Ka Yan, il presidente e maggiore azionista di Evergrande, uno dei maggiori costruttori immobiliari cinesi, con una perdita di 2,2 miliardi di dollari. Il suo patrimonio netto è sceso a 30 miliardi di dollari, portandolo al posto numero 32 della lista dei ricchi, mentre il prezzo delle azioni di Evergrande è sceso dell’8% nel 2019. La stessa, secondo il South China Morning Post, è stata messa sotto pressione dal momento che i finanziatori cinesi sono meno disposti a finanziare progetti immobiliari e i legislatori hanno messo in atto nuovi regolamenti progettati per frenare la speculazione.

Al secondo posto troviamo Jeff Bezos, il fondatore e CEO di Amazon, che ha subito un calo del patrimonio netto dopo aver dato una quota del 4% di Amazon del valore di circa 37 miliardi di dollari a MacKenzie Bezos come parte del più grande accordo di divorzio nella storia ed ha perso 8,7 miliardi di dollari. Ciò nonostante, Bezos resta ancora in cima alla lista delle persone più ricche al mondo con un patrimonio di 116 miliardi di dollari.

Al primo posto per quantità di perdite troviamo Rupert Murdoch, presidente esecutivo di News Corp (che possiede il Wall Street Journal, il New York Post ed il Times of London) e copresidente della Fox Corporation, numero 220 al mondo con un patrimonio attuale netto di 7,8 miliardi di dollari ha visto il suo patrimonio netto precipitare dopo che la Disney ha acquistato la 21st Century Fox; Murdoch ha deciso di distribuire 12 miliardi di dollari di proventi dall’accordo tra i suoi sei figli, riducendo la sua fortuna personale.

Ha chiuso l’anno perdendo addirittura 10,2 miliardi di dollari.