Sotto i diktat dell’Ue, il governo giallorosso sta preparando un aumento delle tasse sugli immobili (che equivale ad una patrimoniale) ed un taglio delle pensioni.
Dice cose belle che non fa, fa cose brutte che non dice.
Questo è il modus operandi del governo giallorosso, che prone all’Ue fa ogni cosa gli venga detta e si muove nell’ombra in modo da non far sapere ai cittadini cosa spetterà loro.
Pochi giorni fa, infatti, il capo missione dell’Fmi Rishi Goyal, a “La Stampa” ha dichiarato:
“Sarebbe utile una riforma fiscale che riduca le tasse sul lavoro e allarghi la base imponibile. Se la si allarga su consumi e proprietà, le tasse nel loro complesso potrebbero scendere, soprattutto per i redditi bassi e medi”.
Suona bene, all’inizio, la proposta di ridurre le tasse sul lavoro; procedendo, leggiamo che sarebbe meglio allargarla su consumi e proprietà.
Scendendo con l’analisi capiamo quindi immediatamente che la proposta è quella di raccogliere più tasse, non di aiutare il lavoro. Il lavoro scarseggia e, quindi, quello che si può raccogliere è limitato; se invece spostiamo le tasse sulla proprietà, che in Italia rappresenta la principale fonte di ricchezza del popolo, capiamo che lo Stato può incrementare notevolmente le entrate. E la cosa corrisponde di fatto ad una patrimoniale.
Ecco arrivare subito le parole del ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, durante la Commissione di vigilanza sull’Anagrafe tributaria:
“La riforma del catasto deve essere fattibile operativamente ma anche condivisa dagli operatori. Sarebbe auspicabile il coinvolgimento di tutti gli attori a monte, nella fase preparatoria, con una discussione pubblica ampia, in particolare con i Comuni”.
È chiaro che si parlare di riformare il catasto per incrementar le tasse sugli immobili.
Il secondo punto su cui sta lavorando il governo, è il tema pensioni. Si sa che vige la malsana idea per la quale “abbiamo vissuto oltre le nostre possibilità” e “spendiamo troppo, dobbiamo fare austerity perché mancano le coperture” con buona pace dei princìpi Keynesiani (approfondimento al link).
Il programma è quello di un calcolo totalmente contributivo degli assegni pensionistici, eliminando completamente il sistema misto e quello retributivo ed effettuare un taglio che arriva anche al 30%.
Un lavoratore che andrebbe in pensione con 62 anni di età e 35 di contributi, con un sistema misto percepirebbe circa 12.726 euro l’anno. Con il contributivo integrale andrebbe a perdere il 26 per cento all’anno con un ammanco di circa 3.300 euro. Una pensione da 1.400 euro, con il nuovo calcolo si trasformerebbe in 1.200 euro.
Nel gruppo di lavoro vi è anche Tito Boeri, ex presidente Inps, che ha proposto un sistema che mantenga fissa a 67 anni la soglia per l’uscita (esattamente come la riforma Fornero) ma che preveda un anticipo fino a 5 anni (ovvero fino a 62 anni di età) con uno schema penalizzante dell’1,5% per ogni anno in meno di lavoro: vale a dire che con un’uscita a 62 anni, un assegno da 1.500 euro verrebbe decurtato del 7,5% che, tradotto in numeri, significa circa 120 euro.