Bellanova: regolarizzare 600.000 migranti o mi dimetto

Il ministro chiede la sanatoria per gli irregolari, minacciando di andarsene in caso contrario.
Accordo di massima tra i ministeri interessati ma per il momento il M5S è contrario su alcuni punti.

Chiede la sanatoria per 600.000 migranti irregolari, il ministro alle politiche agricole Teresa Bellanova, e minaccia di andarsene nel caso in cui questa regolarizzazione non arrivi.

La Bellanova era già stata al centro delle critiche da parte delle RSU di Almaviva per il suo ruolo all’interno della vertenza Almaviva; la situazione era sfociata in una denuncia nel giugno 2017 per tentata estorsione in merito al tentativo di convincere i lavoratori a sottoscrivere l’accordo che prevedeva 1666 licenziamenti. La medesima denuncia penale nei confronti della Bellanova, rimane ad oggi depositata ma a settembre 2019 non risultano ulteriori avanzamenti nel procedimento.

Era poi tornata a far parlare di sé al momento della sua nomina a ministro: nel mirino della critica il suo titolo di studio di terza media ed un vestito particolarmente appariscente per l’occasione.

In questi giorni il suo nome è tornato alla ribalta in quanto ha minacciato di lasciare il ruolo da ministro nel caso in cui non venga attuata la sanatoria prevedente la regolarizzazione di 600.000 migranti.

Il confronto su questo tema sta avvenendo con gli altri ministri interessati, ovvero Luciana Lamorgese (Interno), Nunzia Catalfo (Lavoro) e Giuseppe Provenzano (Sud). Ieri, nell’incontro tra i quattro, non vi è stata la fumata bianca ed oggi la discussione riprenderà tramite videoconferenza.

Sembra che comunque un accordo di massima ci sia e riguardi l’emersione dei lavoratori tramite le richieste dei datori.

Quello che manca, almeno per il momento, è invece l’ok da parte del M5S per quanto concerne la possibilità di prorogare fino a fine anno i permessi scaduti ai lavoratori ed a far rientrare anche chi ha perso il posto di lavoro. Tuttavia, sono maggiori le possibilità della realizzazione della sanatoria rispetto a quelle che porterebbero il ministro Bellanova alle dimissioni.

Italia, tutto chiuso…o quasi. Gli sbarchi non si fermano

L’Italia è zona rossa.
Si chiude tutto per decreto, tranne Borsa e sbarchi.

L’Italia dichiara lo stato d’emergenza, siamo sul filo dello shutdown (approfondimento al link) ed il governo, per decreto, chiude tutto.

O meglio, quasi tutto.

Chiudono le scuole, i cinema, i musei, le attività sportive, i negozi e le attività commerciali. Le persone devono rispettare determinati standard di sicurezza: vietati i contatti ravvicinati, le uscite di casa senza motivo o in compagnia di altre persone.

Non chiude, invece, la Borsa (approfondimento al link), lasciandoci facili prede di speculatori.

Come se già questo non fosse abbastanza disarmante, scopriamo che anche gli sbarchi rimangono aperti.

Per farla breve, la storia è questa: tra l’1 ed il 2 febbraio il direttore dei Centri africani per il controllo delle malattie, John Nkengason, e la Società internazionale per le malattie infettive danno l’allarme dell’alto rischio di contagio da coronavirus in Africa (approfondimento al link). Ciò nonostante, gli sbarchi continuano ininterrottamente fino alla fine di febbraio, sottoponendo quindi la popolazione italiana ad un rischio sanitario (ricordiamo che il coronavirus ha un periodo di incubazione pari a 2 settimane, nelle quali si è asintomatici ma contagiosi).

L’Italia entra in crisi da coronavirus fino a diventare zona rossa; Romania, Nigeria e via via altri Stati chiudono le frontiere agli italiani, ormai diventati gli untori del mondo. Gli sbarchi si interrompono per circa un paio di settimane.

Ecco però che, in data giovedì 12 marzo, ne sbarcano 57; ed in data venerdì 13 marzo altri 128 (fonte: Ministero degli Interni).

È dunque palese che il business dell’immigrazione non si ferma e che mentre il governo, da una parte, fa decreti tramite i quali elargisce 500/600 euro a partite iva e liberi professionisti (è possibile mantenere una famiglia con una tale somma senza lavorare?) obbligati dallo Stato stesso alla sospensione delle attività, dall’altra continua a sopportare il costo di circa 1.100 euro al mese per ogni immigrato.

Corte Diritti Umani: La Spagna può respingere i migranti

La sentenza arriva dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo: i migranti entrano illegalmente e quindi la Spagna li può respingere.

No, a dirlo non è Matteo Salvini o qualche altro componente della Lega. A stabilirlo è bensì la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, in Francia.

Il caso risale al 13 agosto del 2014, quando due immigrati subsahariani identificati con le iniziali N.D. e N.T. a Melilla tentarono di entrare in territorio spagnolo saltando la cosiddetta “valla”, cioè le due barriere che dividono il Marocco dalla Spagna.

Nell’ottobre del 2017, una delle camere della Corte di Strasburgo aveva dato ragione ai due migranti del Mali e della Costa d’Avorio, i quali sostenevano di essere stati oggetto di un’espulsione collettiva, proibita dalla convenzione europea dei diritti umani, perché le autorità spagnole prima di rinviarli in Marocco non avevano analizzato individualmente i loro casi. Inoltre i due affermavano di non aver potuto fare ricorso contro questa decisione ed erano stato risarciti con 5.000 Euro a testa.

Oggi, invece, i togati della grande Camera hanno completamente ribaltato il verdetto a favore di Madrid sostenendo che la Spagna può respingere direttamente in Marocco i migranti che scavalcano le barriere a Melilla invece di usare le vie legali per entrare nel Paese.

La stessa Corte di Strasburgo aggiunge inoltre che la Spagna non era tenuta a valutare singolarmente i casi dei due migranti prima di rinviarli in Marocco, in quanto questi si sono messi deliberatamente in una situazione illegale, e quindi “è stato il loro comportamento” a indurre le autorità spagnole ad agire in quel modo.

La sentenza evidenzia poi che i migranti hanno a loro disposizione diverse vie per chiedere di entrare legalmente in Spagna: a tal proposito i due migranti non sono stati in grado di dire perché non le hanno usate ed hanno invece scelto di “mettersi in una situazione illegale decidendo deliberatamente di tentare di entrare in Spagna scavalcando la barriera a Melilla, approfittando del fatto di essere parte di un gruppo numeroso, e quindi dell’effetto di massa e ricorrendo alla forza”.

Crollo natalità: dov’è la radice del problema

Si accentua il problema del ricambio generazionale a causa delle poche nascite: se manca il lavoro, non si può andarsene di casa e fare famiglia.

Non è una novità, il problema del tasso di natalità in Italia.

Al primo gennaio 2020, infatti, la popolazione italiana risulta ancora in calo di 116.000 persone su base annua, con il numero di residenti totali che ammonta a 60 milioni e 317mila.

I dati sono quelli forniti dall’Istat nel rapporto annuale sugli indicatori demografici ed evidenziano l’aumento del divario tra nascite e decessi: più nel dettaglio, si stima che per ogni 100 decessi ci siano state 67 nascite.

Se andiamo a ritroso nel tempo, vediamo che dieci anni fa, sempre a fronte di 100 decessi, vi erano 96 nascite.

Il livello del 2019 appena registrato rappresenta il record negativo di “ricambio naturale” degli ultimi 102 anni.

Il numero medio di figli per donna è ora di 1,29 mentre l’età media al parto è di 32,1 anni. La speranza di vita si attesta, per le donne, attorno agli 85,3 anni e per gli uomini ad 81 anni, entrambe aumentate di 0,1 decimi di anno rispetto al 2018 (ovvero un mese di vita in più); ne consegue che anche l’età media salga, toccando quota 45,7 anni.

il problema viene poi strumentalizzato da alcune forze politiche, le quali si concentrano sulla necessità di importare persone anziché migliorare la qualità della vita dei cittadini, dando loro la possibilità di fare figli.

Il tasso di natalità è legato innanzitutto ad una facile connessione: lavoro-casa-famiglia.

Con l’elevata disoccupazione e gli stipendi sempre più ridotti (approfondimento al link) dovuti a dei contratti da schiavitù legalizzata, infatti, per i giovani diventa davvero duro poter andar fuori di casa. Le alternative sono quelle di non mettere su famiglia o di trasferirsi all’estero.

Senza un reddito adeguato non è possibile mantenersi; non potendolo fare, diventa impossibile sposarsi (o convivere) e, quindi, fare figli.

Il problema è legato al modello economico che ci ostiniamo a preservare e che giova solo alle grandi multinazionali, perché rende i lavoratori altamente sostituibili e privi di tutele grazie alla riduzione del potere politico (approfondimento al link).

In estrema sintesi, dunque, la connessione è questa: niente lavoro significa impossibilità di andare a convivere/sposarsi che, a sua volta, significa non poter far figli.

Grecia: barriera galleggiante per chiudere i confini

La Grecia costruisce una barriera galleggiante per difendere i propri confini dall’arrivo dei migranti.

La Grecia ha tutta l’intenzione di costruire una barriera galleggiante per difendere i propri confini dall’arrivo dei migranti.

La notizia della gara d’appalto indetta dal Ministero della Difesa per l’Egeo orientale è stata diffusa “Chios News” ed indica appunto la risposta del governo greco all’emergenza migratoria in alcune isole del mar Egeo. In questo caso il focus è sui flussi migratori provenienti dalla Turchia.

Più precisamente, si legge:

La barriera sarà un sistema di protezione galleggiante di 2.700 metri che limiterà e, se è il caso, sospenderà l’intenzione di entrare nel territorio nazionale, al fine di far fronte ai flussi in costante aumento e con l’urgente necessità di fermarli”.

La gara d’appalto organizzata dall’esecutivo di Kyriakos Mitsotakis, dunque, è orientata a società idonee alla costruzione della suddetta barriera, la quale sarà composta da “barriere o maxi reti da utilizzare in caso di emergenza per respingere i migranti”.

Completa l’informazione il sito “Info Migrants”:

Lo sbarramento alto 1 metro e dieci, di cui 50 centimetri sopra il livello del mare, dotato di luci lampeggianti per una migliore visibilità, sarà poi installato dalle forze armate greche”.

Il budget per il progetto, orientativamente, dovrebbe aggirarsi sui 500 mila euro e comprende i costi di ideazione, costruzione ed installazione.