I Paesi più corrotti del Mondo nel 2025

Ecco la classifica dei primi 30.
In totale sono stati analizzati 100 Stati.

La corruzione ha un impatto può essere devastante e non riguarda solo i corridoi del potere, ma arriva in profondità nella vita quotidiana dei cittadini comuni.

Dai vivaci mercati del Guatemala ai campi ricchi di petrolio della Nigeria, la corruzione condiziona le sorti delle nazioni e i destini dei loro popoli.

L’Indice di percezione della corruzione (CPI), uno strumento utilizzato per misurare i livelli percepiti di corruzione nel settore pubblico, serve a ricordare le sfide che attendono molti paesi.

Secondo il sito web di Transparency International, il CPI valuta i paesi su una scala da 0 a 100, dove 0 è “altamente corrotto” e 100 è “molto pulito”.

Ecco, dunque, la classifica come riporta StarsInsider:

31 – Repubblica Centrafricana (Punteggio CPI: 24): Con un punteggio CPI di 24, la Repubblica Centrafricana si trova di fronte a sfide scoraggianti, dove la corruzione esaspera le lotte di una delle popolazioni più povere del mondo, ostacolando gli sforzi verso la stabilità e la giustizia.

30 – Iran (Punteggio CPI: 24): L’Iran si posiziona male nell’Indice di percezione della corruzione, indicando un alto livello di corruzione percepita, con un punteggio di 24. Il governo iraniano utilizza la corruzione per mantenere il controllo: i leader governativi, militari e religiosi lavorano insieme per creare opportunità di favoritismi e benefici finanziari per coloro che sono fedeli ai leader. Questo sistema è profondamente radicato nella politica iraniana, il che lo rende difficile da eliminare.

29 – Libano (Punteggio CPI: 24): Il punteggio CPI del Libano, pari a 24, riflette una crisi in cui la politica e le banche si scontrano con la corruzione, portando all’instabilità economica e ai disordini sociali, con un impatto profondo sui mezzi di sussistenza e sul futuro del popolo libanese.

28 – Zimbabwe (Punteggio CPI: 24): La storia dello Zimbabwe è caratterizzata da un grande potenziale minato, purtroppo, dalla corruzione, con un punteggio CPI pari a 24. Le confische di terre e le sfide economiche dipingono un quadro complesso di resilienza e lotta per i cittadini.

27 – Azerbaigian (Punteggio CPI: 23): L’Azerbaigian, a cavallo tra l’Europa e l’Asia, deve fare i conti con la corruzione, con un punteggio CPI pari a 23. Le accuse di accumulo di ricchezza da parte delle famiglie al potere contrastano con le aspirazioni della popolazione a una governance equal.

26 – Guatemala (Punteggio CPI: 23): Il Guatemala, noto per la sua vibrante cultura e le sue bellezze naturali, deve fare i conti con un punteggio CPI pari a 23. La corruzione soffoca il progresso, incidendo sulla governance ed erodendo la fiducia all’interno della più grande economia dell’America Centrale.

25 – Honduras (Punteggio CPI: 23): L’Honduras, con il suo punteggio pari a 23, mostra l’impatto della corruzione sul tessuto di una nazione, erodendo la fiducia nelle istituzioni e riducendo le prospettive economiche di questo Paese centroamericano.

24 –  Iraq (Punteggio CPI: 23): Il ricco patrimonio culturale e le riserve petrolifere dell’Iraq sono inficiate da un punteggio CPI di 23, dove la corruzione ostacola gli sforzi di ricostruzione e la capacità di governo, compromettendo profondamente il percorso verso la stabilità e la prosperità.

23 – Cambogia (Punteggio CPI: 22): Le strade animate e la ricca storia della Cambogia contrastano nettamente con il punteggio di 22 dell’indice CPI, che evidenzia una corruzione profondamente radicata che influisce sullo sviluppo sociale ed economico, mettendo a dura prova la resistenza della popolazione.

22 – Congo (Punteggio CPI: 22): La Repubblica del Congo, con un punteggio CPI di 22, mostra una nazione sotto la stretta morsa di un regime che dura da tempo. Le accuse di ricchezza accumulata contrastano nettamente con la realtà quotidiana della popolazione.

21 – Guinea-Bissau (Punteggio CPI: 22): Il punteggio della Guinea-Bissau è indice di un paese che lotta contro la corruzione a tutti i livelli. Con un PIL pro capite tra i più bassi al mondo, la posta in gioco nella lotta alla corruzione è alta.

20 – Eritrea (Punteggio CPI: 21): In Eritrea, un punteggio di 21 indica problemi profondamente radicati. Nonostante le dimensioni ridotte, l’impatto della corruzione è massiccio, con ripercussioni su tutto, dai diritti umani alla libertà di espressione.

19 – Afghanistan (Punteggio CPI: 20): Con un punteggio di 20, l’Afghanistan è tra i Paesi più corrotti a causa dell’instabilità politica, della debolezza della governance, del conflitto in corso e del traffico di droga.

18 – Burundi (Punteggio CPI: 20): Con un punteggio CPI di 20, il Burundi deve affrontare ostacoli significativi. Le difficoltà economiche del Paese sono aggravate dalla corruzione, che rende difficile la prosperità delle imprese e il progresso della società.

17 – Ciad (Punteggio CPI: 20): Le sfide del Ciad si riflettono nel suo punteggio CPI. Tra disordini civili e problemi di governance, la corruzione rimane un ostacolo critico allo sviluppo e alla pace.

16 – Comore (Punteggio CPI: 20): Le Comore, con i suoi paesaggi pittoreschi, devono fare i conti con un punteggio di 20 per quanto riguarda la corruzione. Gli scandali di questa nazione, tra cui la vendita di passaporti, sottolineano quanto i corrotti siano disposti a fare.

15 – Repubblica Democratica del Congo (Punteggio CPI: 20): Ricca di minerali ma afflitta dalla corruzione, il punteggio dell’indice CPI della RDC, pari a 20, evidenzia il paradosso fra l’immensa ricchezza sotto terra e le dure difficoltà al di sopra di essa.

14 – Myanmar (Punteggio CPI: 23): I paesaggi mozzafiato del Myanmar sono contrastati da un punteggio CPI di 23. La lotta alla corruzione soffoca la democrazia e lo sviluppo economico, incidendo sulla speranza di un futuro migliore della popolazione. La corruzione del Paese soffoca la democrazia e lo sviluppo economico, incidendo sulla speranza di un futuro migliore da parte della sua variegata popolazione.

13 –  Sudan (Punteggio CPI: 22): Il punteggio CPI del Sudan, pari a 22, rivela un panorama in cui tangenti e false dichiarazioni finanziarie ostacolano il progresso. La volontà di stabilità della nazione è spesso ostacolata da queste sfide.

12 – Tagikistan (Punteggio CPI: 20): I paesaggi maestosi del Tagikistan sono oscurati da un punteggio CPI di 20, indice di una corruzione diffusa che ostacola la crescita economica e la governance, incidendo sulle prospettive e sul benessere dei cittadini.

11 – Libia (Punteggio CPI: 18): La continua instabilità politica della Libia con un punteggio CPI di 18 evidenzia la complessa relazione tra governance, corruzione e benessere sociale in un Paese ricco di risorse naturali.

10 – Turkmenistan (Punteggio CPI: 18): La storia di corruzione del Turkmenistan, che si riflette nel suo punteggio, non coinvolge solo il settore pubblico, ma si insinua nella vita quotidiana, influenzando il modo in cui le persone interagiscono con il governo e tra di loro.

9 – Guinea Equatoriale (Punteggio CPI: 17): Nonostante la ricchezza derivante dalle riserve petrolifere, la Guinea Equatoriale deve fare i conti con un punteggio del CPI pari a 17. Le ricchezze della nazione sono prosciugate dalla corruzione, che influisce sulla stabilità economica e sulle prospettive di crescita.

8 – Haiti (Punteggio CPI: 17): Haiti, con un punteggio CPI di 17, racconta una storia di resilienza in mezzo alle avversità. La corruzione qui non riguarda solo i reati finanziari, ma anche i giochi di potere che ostacolano la ripresa e lo sviluppo della nazione.

7 – Nicaragua (Punteggio CPI: 17): In Nicaragua, un punteggio CPI pari a 17 delinea un quadro di corruzione diffusa, che si estende dalle strade fino al palazzo presidenziale, incidendo sulla governance e sulla fiducia del Paese.

6 – Corea del Nord (Punteggio CPI: 17): Il regime impenetrabile della Corea del Nord si riflette nel suo punteggio CPI di 17. L’isolamento del Paese aggrava le sfide della corruzione, influenzando il modo in cui interagisce con il resto del mondo.

5 – Yemen (Punteggio CPI: 16): Il punteggio pari a 16 dell’indice CPI evidenzia le terribili conseguenze della corruzione, in particolare in una nazione già dilaniata dalla guerra civile e dalle crisi umanitarie, sottolineando l’urgente necessità di riforme della gestione pubblica.

4 – Venezuela (Punteggio CPI: 13): Le difficoltà del Venezuela sono amplificate dal punteggio del CPI, che è pari a 13. Nonostante abbia le più grandi riserve di petrolio al mondo, la corruzione ha portato al caos economico, influenzando ogni aspetto della vita venezuelana.

3 – Sud Sudan (Punteggio CPI: 13): Essendo uno dei Paesi più recenti del mondo, il punteggio di 13 dell’IPC del Sud Sudan sottolinea la sfida imperante di costruire delle istituzioni di una nuova nazione sotto l’ombra della corruzione.

2 – Siria (Punteggio CPI: 13): Il conflitto in corso in Siria e un punteggio CPI di 13 illustrano l’impatto devastante della corruzione sul tessuto sociale di un paese, aggravando le difficoltà della popolazione.

1 – Somalia (Punteggio CPI: 11): In cima alla lista, con un punteggio CPI di 11, i gravi problemi di corruzione della Somalia evidenziano la necessità assoluta di un cambiamento sistemico per promuovere la stabilità e la prosperità.

Quanto all’Italia, per fortuna non è entrata nella Top 30 dei Paesi più corrotti: ha ottenuto 54 punti e si è piazzata al 56° posto su 100 Paesi analizzati.

Etiopia ufficialmente in default

Alto indebitamento estero e bassissime riserve valutarie.
Fondi speculativi alla finestra.

È scattato ufficialmente il default per l’Etiopia dopo il mancato pagamento della cedola semestrale da 33 milioni di dollari.

La scadenza era avvenuta in data 11 dicembre, ma l’Eurobond in questione (ISIN: XS1151974877) prevedeva un periodo di garanzia di 14 giorni. Pertanto, l’ultimo giorno per evitare l’evento creditizio è stato ieri 26 dicembre, anche se venerdì 22 era stato l’ultimo lavorativo entro cui provvedere al pagamento, come riporta InvestireOggi.

Il titolo è di 1 miliardo di dollari, stacca cedola su base annuale del 6,625% e teoricamente dovrebbe essere rimborsato a fine 2024.

Già S&P aveva declassato l’Etiopia al rating SD, ossia a Default Selettivo, prevedendo che il governo non avrebbe onorato il debito.

Esso stesso, in effetti, aveva annunciato prima del giorno 11 che non avrebbe effettuato il pagamento a causa delle basse riserve valutarie e della fragile posizione esterna del Paese.

L’Etiopia è il secondo stato africano più popoloso dopo la Nigeria e il terzo ad essere andato in default nel continente dopo Zambia e Ghana in era Covid.

Il suo debito pubblico risulta relativamente basso in rapporto al PIL (32% a fine 2022), ma non ci sono risorse per servirlo.

Il debito estero è elevato e le riserve valutarie bassissime, a causa di una bilancia dei pagamenti in forte deficit.

L’economia etiope, dunque, non è competitiva, per cui non attira capitali esteri e né riesce ad esportare in misura superiore alla quantità di merci e servizi importati.

C’è da dire che l’Eurobond 2024 ha segnato un balzo da meno di 59 a 67 centesimi in appena una settimana.

Il rendimento lordo alla scadenza supera attualmente il 63%, anche se dopo il default le negoziazioni saranno verosimilmente sospese sulle piattaforme internazionali.

Il boom non è del tutto irrazionale.: già con il mancato pagamento della cedola il governo aveva proposto uno schema di rinegoziazione prevedente l’ammortizzazione del capitale tra il 2028 e il 2032, il taglio della cedola al 5,50% e la sua corresponsione per metà nel quinquennio indicato.

I creditori stanno scommettendo, quindi, sulla capacità dell’Etiopia di giungere presto alla ristrutturazione del debito, anche grazie all’adesione al “Common Framework“, l’iniziativa del G20 che punta ad affiancare il Club di Parigi nella risoluzione delle controversie tra paesi emergenti e creditori.

D’altra parte, i prezzi dell’Eurobond sono già bassi da allettare i fondi speculativi.

Omosessualità: ecco dov’è illegale nel mondo

Le pene vanno dal carcere alla pena di morte, passando per il ricovero psichiatrico.
Ecco la lista dei Paesi in cui l’omosessualità è reato: meglio non visitarli se siete una coppia lgbtq+.

Mentre prendono sempre più piede le manifestazioni lgbtq+, ci sono degli Stati al mondo che considerano l’omosessualità un reato.

Un reato da punire con il carcere e/o il ricovero psichiatrico, per esempio.

Di seguito, la lista redatta da Stars Insider che, se siete una coppia lgbtq+, forse non vi conviene visitare.

L’Afghanistan, dove si può arrivare alla pena di morte per il reato di relazioni tra lo stesso sesso; l’Algeria, che prevede sanzioni economiche e carcere.

Bangladesh, dove si può arrivare all’ergastolo; Brunei, che prevede la morte per lapidazione anche nel caso in cui maschio si spacci per donna e viceversa.

Burundi, Camerun, Chad e Marocco prevedono carcere e multe; Cecenia, dove si verificano rapimenti ed uccisioni.

In Dominica un adulto può rischiare da quattro a dieci anni di prigione e il ricovero in un ospedale psichiatrico; Egitto, che prevede il carcere e l’eventuale ricovero in un “riformatorio speciale”. Poi l’Eritrea ed il Myanmar, che prevedono il carcere mentre in Eswatini ed in Namibia la pena non è precisata.

Ancora, l’omosessualità è reato in Etiopia, Ghana, Grenada, Kenya, Kiribati, Kuwait, Libano, Liberia, Libia, Malawi, Oman, Palestina, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Samoa, Senegal, Isole Salomone, Sudan, Sudan del Sud, Sri Lanka, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Tuvalu, Uzbekistan, Zambia, Papua Nuova Guinea e Guinea, dove viene punita con la galera, in Gambia e Guyana, dove si rischia anche l’ergastolo.

L’Iran prevede la fustigazione e la morte, la Malesia e le Maldive prevedono la fustigazione ed il carcere, la Giamaica il carcere ed i lavori forzati.

In Mauritania si può essere lapidati oltre al carcere.

In Nigeria è previsto il carcere ma nei posti in cui vige la sharia anche la pena di morte; discorso simile in Pakistan, dove sono previsti carcere e sanzioni ma anche frustate o morte dove vige la sharia. In Qatar stessa regola: carcere ma anche pena di morte dove vige la sharia.

Sulla stessa lunghezza d’onda la Somalia, dove è previsto il carcere ma anche la pena di morte dove vige la sharia.

In Arabia Saudita scatta la lapidazione, mentre in Sierra Leone e Tanzania l’ergastolo.

Ancora, in Togo ed nello Zimbabwe sono previsti galera e multe; a Tonga la galera e la fustigazione.

In Uganda oltre all’ergastolo è prevista la pena di morte nel caso di “omosessualità aggravata”. Negli Emirati Arabi Uniti è previsto il carcere ma si rischia anche di entrare nel “crimine capitale”.

Nello Yemen gli uomini sposati possono essere condannati a morte, mentre quelli non sposati rischiano frustate o un anno di prigione, mentre le donne rischiano fino a sette anni di prigione.

Niger: espulsi gli ambasciatori di Francia, Germania, Usa e Nigeria

I diplomtici dovranno lasciare il Paese entro 48 ore.
Parigi: “Non sono autorizzati”.

La giunta militare del Niger ha espulso gli ambasciatori di Stati Uniti, Francia, Germania e Nigeria: i diplomatici dovranno lasciare il Paese entro 48 ore.

Immediata la risposta della Francia, affidata al ministero degli Esteri:

I golpisti non hanno l’autorità per avanzare questa richiesta, l’approvazione dell’ambasciatore proviene solo dalle legittime autorità elette del Niger”.

L’ambasciatore francese Sylvain Itte è stato invitato a lasciare il Niger entro 48 ore in una lettera in cui lo si accusa di aver ignorato un invito per un incontro con il ministero.

La lettera di venerdì, stando a quanto riporta “La Repubblica”, cita anche “azioni del governo francese contrarie agli interessi del Niger” tra le ragioni dell’espulsione di Itte.

Il Niger, ex colonia francese, era partner della Francia prima del colpo di Stato.

Parigi ha mantenuto il suo contingente militare nel Paese nonostante la crisi e le richieste dei golpisti di riportare a casa le truppe.

La giunta del Niger ha autorizzato le truppe dei vicini Mali e Burkina Faso a intervenire in difesa del Paese, alzando la posta in gioco con altre nazioni dell’Africa occidentale (Ecowas) che minacciano di reinsediare con la forza il presidente Bazoum.

Il leader della giunta, il generale Abdrahmane Tchiani, ha firmato due ordini esecutivi che autorizzano “le forze di sicurezza del Burkina Faso e del Mali ad intervenire sul territorio del Niger in caso di aggressione“, ha detto giovedì scorso, Oumarou Ibrahim Sidi, alto funzionario della giunta, dopo aver ospitato una delegazione dei due Paesi a la capitale nigerina, Niamey.

Sidi non ha fornito ulteriori dettagli sul sostegno militare dei due Paesi i cui regimi militari hanno affermato che qualsiasi uso della forza da parte dell’Ecowas contro la giunta del Niger sarebbe trattato come un atto di guerra contro le loro stesse nazioni.

L’accordo è stato l’ultimo di numerose azioni intraprese dai soldati ribelli del Niger per sfidare le sanzioni.

Il presidente della commissione Ecowas, Omar Alieu Touray, ha detto venerdì che la minaccia di un intervento per reinsediare Bazoum è “ancora sul tavolo“, respingendo il piano di transizione triennale proposto dalla giunta.

Touray ha affermato che i capi di stato dell’Africa occidentale prenderanno una decisione solo quando saranno state tentate tutte le opzioni diplomatiche.

Il Niger rafforza la presenza militare ai confini

Più militari alle frontiere con Nigeria e Benin.
Chiuso anche lo spazio aereo.

Le autorità militari del Niger hanno inviato ulteriori truppe nelle zone di confine con la Nigeria ed il Benin.

I rinforzi, ha riferito il canale televisivo Al Arabiya ripreso da Tgcom24, sono stati inviati in seguito a una decisione del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (l’autorità centrale dopo il colpo di Stato).

Nel frattempo, domenica, è stato anche imposto il divieto di volo nello spazio aereo nazionale.