Stellantis: riduzione di personale e italiani spostati in Serbia

Circa 1000 le uscite volontarie tra Melfi, Pomigliano e Pratola Serra.
Raddoppiato il numero degli italiani in Serbia per uscire dalla cassa integrazione.

Nuove uscite volontarie dagli stabilimenti italiani di Stellantis; questa volta a Melfi.

Per l’impianto della provincia di Potenza, in Basilicata, si prospettano 500 esuberi, che seguono i 300 di Pomigliano ed i 50 di Pratola Serra, entrambi in Campania.

Oggi potrebbero arrivarne altri a Termoli (Molise), dove il progetto di riconversione in gigafactory sembra fermo.

Come riporta Milano Finanza, su Melfi pesano i dati negativi degli ultimi mesi, che ne fanno uno degli stabilimenti con la maggiore perdita di volumi: nel primo trimestre la produzione è scesa sotto le 10 mila auto (-64,6%), un calo che prosegue da anni.

Per i sindacati, come dichiara Samuele Lodi segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità, il rischio di uno svuotamento è sempre più concreto:

Tutto questo accade quando ancora non è stato scelto il nuovo ceo e quindi siamo ancora senza un piano industriale per il rilancio degli stabilimenti italiani. Sembra si stia configurando una vera e propria dismissione dall’Italia. Per tali ragioni non abbiamo firmato gli esuberi. Vogliamo l’apertura di un confronto vero a Palazzo Chigi con il presidente John Elkann per arrivare a un accordo che garantisca l’occupazione e il futuro dell’automotive italiano”.

In Europa invece il gruppo italo-francese vuole accelerare la costruzione dei modelli Fiat ed ha raddoppiato il personale italiano in Serbia, dove viene assemblata la Grande Panda ibrida ed elettrica.

È qui che sono finiti alcuni dipendenti di Melfi, che hanno accettato la proposta di trasferimento nei Balcani per uscire dalla cassa integrazione.

Mail della Cgil agli studenti contro la Meloni

Raggiunti circa 53mila studenti dell’Università di Firenze.
Evento battezzato “No Meloni day”.

La Cgil scende in campo. E lo fa contro il govenro Meloni.

Giovedì 17 novembre, precisamente alle ore 12:09, a circa 53mila studenti dell’Università di Firenze arriva una mail.

Il mittente è la Cgil e l’oggetto è il seguente: “Mobilitazione studentesca 18 novembre: i precari università a fianco degli studenti”.

È l’evento che, come riporta “Il Giornale”, verrà battezzato come il “No Meloni day” e che avrebbe dovuto coinvolgere migliaia e migliaia di studenti da Nord a Sud per protestare contro le politiche del nuovo esecutivo in materia di scuola e precariato.

In realtà, la partecipazione non è stata in linea con le attese ed evidentemente è servita a poco anche l’ambigua chiamata alle armi del sindacato.

Perché quello che è arrivato nella posta elettronica istituzionale di tutti gli iscritti all’ateneo non si può chiamare diversamente.

La mail recita:

A Firenze appuntamento alle ore 9 al presidio sotto la sede della Regione Toscana in Piazza Duomo, 10”.

E poi via con una serie di critiche al “cambio di governo con l’insediamento dei ministri Bernini e Valditara al Mur e al Mi”.

Chiara La Porta, deputata di FdI, dichiara quanto di seguito:

Presenteremo una interrogazione al ministero, anche perché non è la prima volta che succede una cosa del genere”.

Sulla stessa linea Nicola D’Ambrosio, presidente di Azione Universitaria:

Ci sono arrivate segnalazioni tempo fa anche da Siena e da Padova. Non possiamo nemmeno escludere che la sigla sindacale abbia avuto accesso anche a ogni singola mail”.

In diverse chat dei vari corsi universitari serpeggiano stupore, rabbia ed incredulità: c’è chi si chiede come sia possibile che un sindacato abbia ottenuto quell’indirizzo istituzionale, c’è chi invoca il diritto alla privacy e chi parla di talpe tra gli addetti ai lavori. Oleg Bartolini, dirigente di Azione universitaria Firenze, e Matteo Zoppini, membro esecutivo nazionale di Azione universitaria, affermano infatti quanto di seguito:

Noi non abbiamo manifestato il nostro consenso a ricevere questo tipo di comunicazioni. Abbiamo chiesto chiarimenti alla Cgil e anche alla rettrice ma ancora non hanno risposto”.

Smart working, Brunetta: è una perdita di tempo

“Il Governo Draghi ha scelto vaccini e lavoro in presenza”.
I sindacati: si continua a puntare il dito.

Il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, si è scagliato contro lo smart working.

Secondo il ministro, il Governo Draghi ha deciso di perseguire la strada “vaccini e lavoro in presenza” rispetto a quella del “chiusi in casa e non vaccinarsi”. Come riporta “Notizie.it”, infatti, a SkyTG24 Brunetta ha dichiarato quanto di seguito:

Il Governo Draghi ha fatto la grande scelta, vaccini e presenza, vaccini con la gente sul posto di lavoro, non lo smart working, non chiudersi in casa e non vaccinarsi. Piuttosto che chiusi in casa con il telefonino sulla bottiglia del latte a fare finta di fare smart working, perché diciamocelo a far finta di lavorare da remoto, a parte le eccezioni che ci sono sempre, vaccini e presenza con l’organizzazione migliore del lavoro.

A queste dichiarazioni ha fatto seguito una risposta da parte dei sindacati, secondo i quali si continua a puntare il dito contro i dipendenti pubblici ed aggiungendo che, invece, lo smart working potrebbe prendere sempre più piede come nuova forma di organizzazione del lavoro. In particolare, queste sono state le parole di Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil:

Continua a puntare il dito contro i dipendenti della pubblica amministrazione. Le sue dichiarazioni indignano e screditano il lavoro di tutti coloro che, in questi mesi di emergenza sanitaria, proprio grazie al lavoro agile e affrontando le difficoltà legate alla infrastrutturazione digitale, sono riusciti a garantire la continuità dei servizi, preservando al contempo la salute dei cittadini e dei lavoratori. A loro andrebbe detto grazie. L’innovazione della pubblica amministrazione a cui il ministro dice giustamente di tenere, non si raggiunge attraverso il controllo o il lavoro solo in presenza, ma valorizzando le professionalità e responsabilizzando così lavoratrici e lavoratori nelle proprie attività.

Draghi incontra le parti sociali

Sindacati chiedono di essere incisivi e non consultati a cose fatte.
No al salario minimo per legge, sì alla contrattazione.

Incontro a Palazzo Chigi tra il premier Mario Draghi e le parti sociali.

Come riporta FIRSTonline, i vertici di Cgil, Cisl e Uil riproporranno al premier le questioni indicate nella lettera inviata il primo settembre proprio a Palazzo Chigi. La richiesta principale sarà quella di poter incidere sulle scelte di governo, senza essere solamente informati a cose fatte.

In cambio hanno supportato il governo sulla linea del green pass, quindi ora chiedono il conto, come si suol dire.

Per far ripartire il lavoro Draghi metterà al centro delle trattative le riforme, propedeutiche per ricevere i fondi europei, che però portano con sé dei vincoli.

Sul tavolo, dunque, la riforma del fisco dove i sindacati chiederanno un taglio del cuneo a beneficio dei salari netti, la riforma delle pensioni dove i sindacati hanno posizioni vicini a quelle della Lega, la riforma della scuola, della Pubblica amministrazione, della concorrenza e della politica industriale e delle politiche attive del lavoro, che particolarmente interessano le parti sociali per ovvie ragioni.

L’obiettivo del premier Draghi sarà quello di far convogliare Confindustria e sindacati sugli stessi binari.

Un punto, invece, pare già vedere i sindacati d’accordo: niente salario minimo per legge, ma rafforzamento della contrattazione.

Diversamente le parti sociali perderebbe la loro importanza.