Quando la guerra non ci tocca: il gelo dell’indifferenza nel tempo dell’informazione

Quando anche il rombo degli aerei non basta a risvegliarci, forse è il momento di chiederci cosa ci resta dell’umano. E se l’empatia è solo una parola da vocabolario o una scintilla che può accendere ancora i cuori.

Gli aerei militari ronzano sopra Sigonella, come un’eco distante, ma neanche tanto, di qualcosa che dovrebbe riguardarci tutti. Eppure qui, nella quotidianità apparentemente intatta delle nostre vite, tutto resta uguale: le scuole chiudono per le vacanze, i bar servono caffè come ogni mattina, gli smartphone continuano a scorrere immagini di moda, meme, tik tok. La guerra è altrove, anche se il rumore comincia a sentirsi vicino.

Diventiamo spettatori di un mondo che brucia, ma non riusciamo più a scaldarci il cuore – nemmeno di rabbia. Il paradosso è tutto qui: la guerra ci inquieta, ma non ci mobilita. Ci arriva addosso sotto forma di immagini e notizie, ma non tocca davvero la pelle, non smuove più il corpo.

Siamo cresciuti in un tempo di pace che sembrava eterno. I racconti dei nostri nonni sulla guerra – le bombe, la fame, i rifugi improvvisati – li abbiamo ascoltati come favole oscure, lontane. Erano storie, memoria orale, che avevano il sapore dell’irrealtà. E così abbiamo finito per considerarci immuni: figli della stabilità, convinti che quel tipo di violenza non potesse più riguardarci, pensavamo che tutti avessimo fatto tesoro dei disastri delle conseguenze e il “MAI PIU’” era una parola d’ordine come lettere di fuoco.

Così abbiamo dato un esempio sbagliato ai più giovani che, immersi in una realtà iperconnessa, scorrono la tragedia con un pollice disattento. Passano con un clic dalla devastazione alla leggerezza, senza tempo per elaborare, senza spazio per sentire davvero. La guerra è diventata un contenuto tra i tanti. E questo è forse il segno più inquietante del nostro tempo: la sua presenza continua non genera più empatia, ma assuefazione.

In Sicilia, però, questa distanza emotiva inizia a incrinarsi. Gli aerei militari che sorvolano Sigonella non sono più rumori di fondo, ma suoni che disturbano il silenzio delle serate estive. Amici e conoscenti giù, a pochi chilometri dalla base, raccontano di un’atmosfera sospesa: non c’è panico, ma neanche serenità. È una preoccupazione impalpabile, che si insinua nei discorsi tra un caffè e l’altro, tra un bagno al lido e un aperitivo prima di tornare a casa, che entra nella coscienza con il suono dei motori.

Forse è questo il punto: la guerra non è ancora qui, ma ha cominciato a sfiorarci. E quel gelo che prima era solo mentale — indifferenza, saturazione, distanza — ora rischia di trasformarsi in un freddo reale, tangibile, che attraversa anche chi non pensava potesse essere toccato.

Il problema non è non avere paura. Il problema è non riuscire più a sentire quella paura.

Il mondo di Ketty – Il gusto della sorpresa: un viaggio sensuale oltre la routine

Nelle coppie di lunga data, la routine spesso prende il sopravvento: gli stessi gesti, gli stessi luoghi, e la sensazione che la passione si sia trasformata in un affetto tiepido e rassicurante. Ma cosa succede quando ci si concede di attingere alla fantasia? Quando, invece di spegnersi, il desiderio viene risvegliato da un semplice gesto di complicità?

Un esempio potente di questa magia in un racconto che ci porta in un viaggio sensuale e inaspettato. Una coppia si ritrova a condividere un momento che va oltre le parole e oltre la vista: un invito, una benda di seta nera, e un tramonto spettacolare che diventa testimone di un rito privato.

Il silenzio e il sorriso di chi accetta di lasciarsi guidare, la musica che accompagna la strada verso l’ignoto, e il cestino da picnic pieno di promesse. L’auto che si allontana dalla strada principale e, poco alla volta, la tensione dolce dell’attesa cresce.

La sorpresa è l’antidoto alla noia, e in questo viaggio lo scopriamo in ogni dettaglio: una carezza delicata, la freschezza di una fragola immersa nella panna, il lento dischiudersi dei corpi e dei desideri. È un invito a giocare con i sensi, a lasciarsi travolgere dalle sensazioni, a riscoprire la bellezza dell’attesa.

Il messaggio che questo racconto regala a chi lo legge è semplice e prezioso: la passione non muore, se siamo disposti a trasformare la routine in un viaggio di scoperta. Bastano un luogo evocativo e la voglia di sorprendersi – e sorprendere.

Alla fine, l’amore maturo non ha paura del mistero, ma lo abbraccia, e riscopre la potenza di ogni attimo vissuto insieme.

Racconto 

-Ci vieni con me? Voglio farti vedere una cosa, vedrai sarà una sorpresa, ti fidi?

Il silenzio e il sorriso di Kate erano la risposta. 

-Dove mi stai portando?

– shhh, goditi il viaggio. 

E Angel dopo aver pronunciato queste parole prende dal cruscotto dell’auto un tessuto lucido come la seta e nero.

Kate lo guardò con un sorriso tra lo stupore e l’eccitazione, quella novità le metteva in corpo un brivido, il brivido della sorpresa, un brivido piacevole che faceva vibrare ogni cellula del suo essere.

Mentre l’auto andava, con calma ma decisa, verso la metà una musica gradevole, dolce e sensuale riempie l’abitacolo. 

Kate non stava più nella pelle, dove erano diretti?

Angel aveva pensato a tutto, un cestino da picnic nel bagagliaio conteneva una bottiglia di vino bianco fresco, leggermente mosso, fragole e panna.

Guardando la febbricitante Kate a quanto pare non aveva sbagliato a prendere quella decisione, per un momento aveva creduto che si fosse rifiutata di salire in macchina verso quella meraviglia sconosciuta e che poi non avesse acconsentito ad essere bendata.

Questo apriva nella mente e nel desiderio di Angel nuovi orizzonti da scoprire.

L’auto stava percorrendo una strada accidentata e in salita, segno che avevano lasciato la strada principale, erano quasi arrivati? Kate non lo sapeva con certezza ma lo intuiva, infatti dopo poco l’auto si fermò, Angel scese e le venne ad aprire la portiera.

Kate fece segno di togliere ciò che le impediva la vista, ma Angel baciando leggermente le sue labbra le disse sussurrando di no che non era ancora arrivato il momento, lui l’avrebbe guidata.

Angel prese il cestino dal bagagliaio e prendendo Kate sottobraccio si avviò verso un piccolo casolare costruito su un promontorio a picco sul mare sulla costa frastagliata di quella parte dell’isola.

Erano arrivati giusto in tempo per lo spettacolo, lo spettacolo più emozionante e più bello della natura, il tramonto.

Quella costruzione così spartana aveva una vista mozzafiato sull’orizzonte, regalava la sensazione di stare sospesi tra terra, mare e cielo.

E in quel casolare quello spettacolo diventava unico perché privato ed eccitante.

Adesso con una lentezza quasi esasperante, che solo questa bastava a far capitolare Kate, Angel le tolse la benda, da dietro le sue spalle e la sua bocca vicinissima al suo orecchio destro, le sussurrò piano.

– ecco questa è la mia sorpresa per te. 

Mettendola davanti a quella palla infuocata che pian piano stava per immergersi nel mare calmo dell’orizzonte, tingendo il cielo come una tavolozza di un pittore.

Kate si sentì mancare, sia per lo spettacolo che era meraviglioso, e sia per l’eccitazione che le aveva provocato quel soffio leggero poco sopra la sua spalla, nella parte più vulnerabile del suo collo, si sentiva parte di quella tavolozza di colori pronti a dipingere i momenti che di lì a poco si sarebbero consumati.

Tutto il cielo aveva assunto il colore caldo dell’arancio tendente al rosso, tutti i pensieri di Kate erano andati in pausa per godere appieno di quella sensazione di benessere appagante. Sentiva il respiro caldo di Angel sul suo collo e questo contribuiva al suo benessere. Dopo che il sole cedette il posto alla luna, Angel riprese la striscia di seta nera e la legò dolcemente sugl’occhi di Kate che oramai si trovava in balia di strani brividi, e continua la sua opera di seduzione proseguendo con piccoli e brucianti baci che dalla nuca si spostano alla bocca socchiusa in attesa trepidante.

Ma Angel dopo averla baciata dolcemente, la fa accomodare sul divano e va a prendere il cestino, 2 calici in cristallo erano pronti ad essere riempiti, le fragole e la panna completano il quadro gustoso, pronto a soddisfare e colmare la sete e la fame di un altro eccitante spettacolo che senza copione avverrà su quel tramonto spettacolare appena trascorso, unico testimone. 

Dopo aver brindato Kate che sembra essere percossa da un brivido in tutto il corpo.

Hai paura? 

Le sussurra Angel, lei fa cenno di no con la testa, allora le prende il viso tra le mani per darle stabilità poi comincia a stuzzicarle le labbra prima con la sua lingua calda poi le appoggia una fragola ricoperta di panna.

Kate deliziata dalla freschezza e dolcezza della panna addenta la fragola offertale.

Ti sei sporcata, 

le sussurra e inizia a leccarla lì dov’è caduta la panna, con mano sapiente comincia lentamente ad aprire la camicetta poi il leggero scrigno in pizzo che contiene il suo seno e che sembra impaziente essere baciato, mordicchiato da Angel.

Kate si sente sempre più calda ed eccitata.

Un’altra fragola arriva alle labbra di Kate dopo che aveva assaporato i baci sapienti e brucianti di Angel sul collo e sui capezzoli turgidi e tesi, volti ad essere ancora torturati dai baci ardenti di Angel.

Ma lui non sembra badarci e dopo un’ennesima fragola sulle labbra oramai vogliose di Kate appoggia una mano sotto la sua gonna salendo pian piano lungo le cosce lisce e vellutate verso il punto di non ritorno, a togliere l’ultima barriera che imprigiona il tempio del piacere.

Alla fine della salita la mano di Angel non trova nulla da togliere, ma solo qualcosa di umido e prezioso, stupito ed eccitato da quella assoluta sorpresa che mai si sarebbe aspettato vorrebbe esplodere di piacere insieme a lei, Angel deve fare uno sforzo non da poco per contenersi e continuare il percorso della lenta eccitante agonia per Kate.

Indispettito dal sorriso malizioso di Kate per essere riuscita nell’intento di sorprenderlo con quella scoperta esplosiva per il suo testosterone, decide di godersi l’eccitazione di Kate fino in fondo.

Lentamente le sfila via la gonna e prende una cosa che aveva comprato nel caso si fosse presentata l’occasione da sogno che adesso stava vivendo.

Un piccolo piumino da solletico, quando lo acquistò, dietro consiglio di una avvenente commessa, gli era sembrato l’acquisto più equilibrato e meno trasgressivo, si era vergognato un pochino davanti quella ragazza che sapeva il fatto suo alla perfezione consigliando sui diversi modi d’uso.

Angel non vedeva l’ora di provare se veramente, quel piccolo innocuo oggetto, aveva quei poteri di eccitazione…

Il desiderio è un mistero. Il sesso, forse, il suo funerale

Parthenope e la forza di chi sceglie di non consumarsi (subito).


Certe frasi arrivano leggere, ma restano incollate alla pelle.
L’altra mattina, scorrendo distrattamente TikTok, mi sono imbattuta in una recensione del film Parthenope, l’ultimo film di Paolo Sorrentino. Una scena, una frase, una crepa:
“Il desiderio è un mistero e il sesso il suo funerale.”

Non so se fosse la luce dell’alba, la voce del tik toker o le immagini frame del film. So solo che queta frase mi si è piantata nella testa. Perché dentro c’è tutto: ironia, profondità, verità.
E anche una dichiarazione di indipendenza: quella del desiderio femminile, così spesso sottovalutato, troppo presto dato per scontato, o ancora peggio, consumato.

Il desiderio non è un pretesto. È il centro.

Viviamo in un’epoca in cui il sesso è scioritato in ogni dove, ma il desiderio sembra sbiadito. Eppure, per molte donne – me compresa – il desiderio è tutto tranne che una fase transitoria.
Nel mio mondo interiore. È ritmo, lentezza, tensione che non chiede di essere sciolta. A volte è architettura, altre è istinto .
E chi l’ha detto che il piacere debba stare solo nell’arrivo?
C’è chi gode nel restare in viaggio. L’attesa è essa stessa piacere.

Il rischio del consumo precoce

Non è che il sesso sia il nemico, intendiamoci, anzi può aprirti mondi inesplorati e regalartiemozioni che nemmeno immaginavi.
Ma diciamoci la verità: quante volte l’atto spegne ciò che l’attesa aveva acceso?
Il mistero, l’intesa, la possibilità… tutte cose che, una volta entrate nel territorio del reale, perdono qualcosa.
Forse è per questo che certe donne – come Parthenope – non si negano: si custodiscono.

Il potere (e il piacere) di non andare

Parthenope, in quella frase tagliente e sensuale, dice che non tutto ciò che bramiamo deve per forza essere consumato.
Che desiderare è una forma di potere, e non c’è nulla di più femminile del sapere restare nel fuoco, senza bruciarsi.
Che a volte il desiderio è un romanzo, e il sesso… una nota a piè di pagina.
E tra una grande storia e una postilla qualunque, sappiamo bene dove vogliamo stare.

Un nome antico, della mitologia greca

Non è un caso che Sorrentino abbia chiamato così la sua protagonista.
Parthenope, nella mitologia, era una sirena. Non una donna qualunque: una creatura che incantava i marinai con il suono della sua voce. Non li toccava, non li seduceva col corpo, ma li attirava in una dimensione, in cui il desiderio era senza carne.
E quando Ulisse resistette al suo canto, lei – ferita, forse umiliata – non si vendicò: si lasciò cadere, divenne parte del paesaggio.
Ma il suo mito è rimasto.
Ed è ancora qui, a ricordarci che non tutto ciò che ci fa vibrare ha bisogno di compiersi per essere reale.

E tu, dove ti collochi?

Io, lo dico senza vergogna, sono un’innamorata dell’amore e del desiderio. Di quelli che si costruiscono piano, che ti tolgono il respiro  che non si consumano con facilità.
Quella che si nutre di dettagli, di tensioni sottili, di sospensioni.
Quella che, anche quando arriva il momento di andare oltre, non sa mai se vuole davvero farlo.
Perché il desiderio è una città vista di notte, da lontano, emozionante e bellissima.
Il sesso? A volte solo un parcheggio.

E allora sì, se dobbiamo proprio arrivarci, che almeno il tragitto sia la parte più bella.

Tecnologia, silenzi e il paradosso dell’intimità moderna.

Nelle relazioni di oggi, il vero blackout non è solo tecnologico. È emotivo.

Forse non ci siamo mai capiti, davvero.

Viviamo nel tempo dell’iperconnessione: tutto è immediato, costantemente aggiornato, pronto. Tranne noi. Tranne i legami profondi, che sembrano farsi più fragili proprio nel mondo che dovrebbe facilitarli.

Nelle coppie, nei rapporti quotidiani, cresce un silenzio nuovo — un silenzio digitale ma carico di tensione, di incomunicabilità, che si nasconde dietro uno schermo illuminato.

Una frase, più di tutte, sembra cristallizzare questa distanza invisibile:

“Forse non ci siamo mai capiti, davvero.”

Ci sono frasi che non accusano. Semplicemente emergono, come l’unica verità possibile dopo tanti tentativi.

“Forse non ci siamo mai capiti, davvero.”

Non è rabbia. È resa. È la consapevolezza che, a un certo punto, qualcosa si è perso.

O non è mai stato trovato.

Viviamo immersi nella connessione, ma spesso naufraghiamo nel fraintendimento. Ci nascondiamo dietro un touch, con lo sguardo fisso su un display.

La presenza diventa apparente.

La voce si affievolisce.

Il tatto svanisce.

Le coppie di oggi non si lasciano più sbattendo le porte.

Si lasciano restando insieme.

Dividendo il letto, ma non i sogni.

La cena, ma non le parole.

Ogni “va tutto bene” è una barriera. Ogni “non è niente” è un silenzio pieno di crepe.

E dietro, cresce il risentimento.

Un rancore tiepido, che non esplode ma corrode. Come l’umidità nei muri: invisibile, ma presente.

Poi un giorno viene giù tutto, con una frase che pesa più di un addio.

La tecnologia, in sé, non è il nemico.

È lo specchio dei nostri vuoti, il rifugio dalla fatica di esserci davvero.

Perché amare, oggi, significa scegliere di restare presenti in un mondo che ci distrae di continuo.

Significa ascoltare senza interrompere. Parlare senza filtri.

Guardarsi negli occhi, anche quando fa male.

Per molte donne, questa distanza emotiva ha un peso doppio.

Da una parte, il desiderio di comprensione. Dall’altra, la stanchezza di doverla sempre costruire da sole.

Siamo cresciute con l’idea che capire l’altro sia un nostro compito, quasi una missione.

Ma forse è ora di disobbedire a questa narrativa.

Di smettere di decifrare silenzi, intuire bisogni, reggere il carico invisibile della comunicazione emotiva.

La frase “forse non ci siamo mai capiti” può diventare un punto di svolta, non di sconfitta.

Può essere l’inizio di un nuovo modo di stare insieme: più autentico, più paritario, più umano.

Perché l’intimità non è solo vicinanza fisica.

È la scelta, ogni giorno, di mettersi davvero in gioco.

Di ascoltare, di esporsi, di restare.

E soprattutto: di non farlo da soli.

Il Mondo di Ketty – U scrusciu do mari batte lo stress da Milano 3 a 0

Tra il novantesimo compleanno di papà, la sabbia fine e dorata di San Leone e una voglia matta di respirare l’aria intrisa di iodio e salsedine, ho riscoperto il potere terapeutico del mare. Fidatevi: funziona meglio di una spa.

Lavoro a Milano, ormai lo sapete, ma il mio cuore resta profondamente legato alla mia terra, la Sicilia. Ogni occasione è buona per tornare, anche solo per qualche giorno. Questa volta, il richiamo è stato più forte del solito: il novantesimo compleanno del mio papà. Un traguardo importante per lui, una carezza profonda per me e il mio cuore.

Tra i preparativi, i sorrisi ritrovati e le parole che solo in dialetto sanno arrivare dritte al cuore, ho cercato un momento per me. Come sempre, è stato il mare a chiamarmi. Quel mare che conosco da sempre, la spiaggia di San Leone, e che oggi continua a parlarmi con la stessa voce: calma, profonda, sincera.

Terapia salata (gratis)

Il mare è terapia. Lo è sempre stato, anche quando non lo sapevamo. Il suo “scrusciu”, quel suono continuo e ritmico delle onde, è una ninna nanna antica. U scrusciu do mari ti entra dentro e ti calma. È una voce familiare che consola senza fare domande.

Studi scientifici lo confermano: il rumore del mare abbassa il cortisolo, regola il battito cardiaco, migliora il sonno. E poi c’è l’aria, carica di iodio e salsedine, che rigenera. Camminare a piedi nudi sulla battigia stimola la circolazione, rafforza i muscoli, libera la mente. Ogni passo è un piccolo reset.

La mia talassoterapia si chiama Agrigento

Il concetto è antico: talassoterapia. Cura con il mare. Non servono vasche costose né centri benessere. Basta il mare stesso. L’acqua salata purifica la pelle, la tonifica, stimola la vitamina D sotto il sole. È una skincare spontanea, senza flaconi né inci complicati.

Spesso mi ritrovo a pensare che il benessere autentico è proprio questo: togliere il superfluo. Respirare. Ascoltarsi. E magari avere la sabbia tra le dita dei piedi.

Ritorno alla realtà (ma col mare in tasca)

Sono tornata a Milano con la sabbia nelle scarpe e il sale nei capelli e nei pensieri. U scrusciu do mari l’ho piegato con cura tra un vestito e l’altro. Lo tirerò fuori nei giorni pieni di traffico e di corse per arrivare puntuale a lavoro.

Il mio consiglio? Cercate il vostro mare, anche se siete lontani. Basta poco: una finestra aperta, una memoria salata, un piede nudo a terra. E ogni tanto, se potete, tornate dove vi sentite veri, liberi, sognanti, accarezzati.

Il mare.

BENESSERE NATURALE
Rilassa il sistema nervoso
Migliora la qualità del sonno
Stimola la circolazione
Depura la pelle con i sali minerali
Rafforza il sistema immunitario
Riequilibra umore e respiro.