(Versione inglese al link – traduzione di Jolanta Micinska – Hercog)
(Versione polacca al link – traduzione di Aneta Chruscik)
È un crescendo in tutti i settori, l’utilizzo della tecnologia.
Il suo avvento è stato inevitabile e ci sono sicuramente molti aspetti in cui ha creato valore aggiunto. Con la tecnologia, forte è la spinta dell’automatizzazione e della robotizzazione, che trova i suoi rudimenti nella catena di montaggio fordista e taylorista.
Le grandi produzioni di massa comportano l’impiego di una forza lavoro numerosa. Ogni lavoratore ha una storia a sé, con esigenze, problematiche, disponibilità e carattere che sono peculiari per ciascuno; poi, ovviamente, ci sono anche i limiti fisici.
Un robot, invece, non ha problemi legati all’umore, agli impegni, alla disponibilità a lavorare su turni o nei week-end, non avanza richieste di aumenti salariali né è soggetto a tutele sindacali.
Quando la spinta, però, diventa eccessiva, c’è il forte rischio di incombere in un’arma a doppio taglio.
Ne abbiamo parlato con il prof. Giulio Sapelli, economista, storico, dirigente d’azienda ed accademico in Europa, Australia e nelle due Americhe, collocato dall’International Bibliography of Business History tra i fondatori della storia dell’impresa a livello mondiale ed il cui ultimo libro si intitola “Perché esistono le imprese e come sono fatte“, edito da “Guerini e associati“.
Prof. Sapelli, Lei è uno dei massimi esperti d’impresa a livello mondiale, come valuta la forte propensione all’automazione che le imprese, specie quelle di grandi dimensioni, stanno mettendo in atto?
“La tecnologia fa ovviamente parte delle nostre vite quotidiane ormai sotto tutti i punti di vista; col tempo abbiamo assistito ad un suo sempre maggior utilizzo che, in molte occasioni, ha creato valore aggiunto portando vantaggi indiscussi.
Chiaramente dipende sempre dal tipo di business che si vuole intraprendere e, quindi, come lo si vuole impostare; quello che non dobbiamo fare, però, è dimenticarci che l’automazione e la robotizzazione sono soggette ai cicli economici: c’è il rischio, infatti, di incappare in forti investimenti in capitale fisso che poi rimangono a costo per l’impresa e/o finiscono comunque per diventare un limite od un vincolo nel processo decisionale strategico.”
Dal punto di vista occupazionale, secondo Lei, quali sono i rischi ed i vantaggi?
“Direi che l’utilizzo della tecnologia nelle sue varie sfaccettature vada ponderato e misurato; i primi a risentirne sono ovviamente i lavoratori impegnati nelle linee di produzione, nelle catene di montaggio.
La loro sostituzione con i robot dev’essere ponderata. Si potrebbe pensare, ad esempio, di formare le persone che erano impiegate nelle linee al fine di farle diventare degli addetti al controllo ed alla manutenzione dei robot stessi.
Così facendo si creerebbe valore: arricchimento delle competenze dei lavoratori da una parte, investimenti mirati per dell’impresa dall’altra, che riuscirebbe ad abbassare il costo del prodotto ma al contempo si ritroverebbe ad avere personale più qualificato, limitando inoltre i licenziamenti che diversamente farebbero da boomerang per le vendite.
Pensi, per esempio, se tutte le grandi imprese si buttassero a capofitto nell’automazione per sostituire la manodopera. Siamo sicuri che sarebbe un successo totale?”
Intende che, se tutto venisse prodotto dai robot, le aziende non venderebbero i loro prodotti proprio perché le persone, senza un lavoro, non potrebbero permettersi di comprarli?
“Certo.
Guardi, tempo fa ero in India e, per caso, mi è capitato di assistere alla costruzione di un’autostrada. Ho potuto subito notare che c’era una fila molto lunga di persona che trasportava sacchi di materiale sulla testa; indicando tale fila di persone chiesi il perché all’allora primo ministro e lui mi rispose: “Lei ha individuato immediatamente e senza dubbio il problema, ma se non gli facciamo fare questo lavoro, per quanto bassa possa essere la retribuzione, di cosa vivono quelle persone?”.
Stiamo parlando di uno Stato che dà lavoro ai suoi cittadini, ma lo stesso concetto vale per le imprese in questo caso: se automatizziamo tutto e licenziamo in massa il 40%-60% delle persone, chi avrà poi i soldi per comprare ciò che produciamo se non hanno una retribuzione? A maggior ragione se parliamo di beni non essenziali.
Per questo dico evviva, sì, i robot, ma con prudente intelligenza.”
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