Il Mondo di Ketty – Stereotipi e relazioni: una riflessione tra Milano e Sicilia

Viviamo immersi in un mondo di stereotipi. Ci rassicurano, ci semplificano la realtà, ma spesso ci condizionano più di quanto immaginiamo.

Qualche giorno fa mi sono trovata a Milano, all’inaugurazione di un locale che celebra la sicilianità. Un evento curioso: ingresso a pagamento, 4 euro. Non è tanto la cifra, quanto il principio. In Sicilia, alle inaugurazioni, gli assaggi sono gratuiti: è una questione di marketing, ma anche di cultura dell’accoglienza. Durante la serata, io e un amico siciliano abbiamo incontrato un altro conterraneo. Dopo i convenevoli, ha subito etichettato i milanesi come “freddi”, contrapponendoli alla nostra presunta “calorosità”. Eppure, la mia esperienza è diversa. Non ho trovato i milanesi freddi, anzi. Credo che molto dipenda da come ci poniamo noi: la relazione è uno specchio, riflette ciò che portiamo. Gli stereotipi, invece, rischiano di diventare gabbie. Ci impediscono di vedere l’altro per ciò che è, e ci fanno perdere occasioni di incontro autentico. La domanda che mi porto a casa da quella serata è semplice: vogliamo davvero continuare a vivere di etichette, o siamo pronti a scoprire le persone oltre i pregiudizi?

25 novembre: il cuore che chiede amore

La giornata internazionale contro la violenza sulle donne, tra memoria e incontri che lasciano il segno

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. 
Un giorno che ci ricorda quanto siamo forti e fragili nello stesso tempo. Quanto basterebbe, a volte, una parola semplice e magica: “scusa, ho sbagliato”. E invece troppo spesso ci si scontra con comportamenti che negano rispetto, che impongono obbedienza solo perché sei moglie, figlia, compagna… o peggio, perché “lo dico io”.

Questa mattina, sulla metro, ho vissuto un incontro che ha reso questa ricorrenza ancora più viva. Una ragazza si è seduta accanto a me. Nulla di strano. Poi ho sentito la sua testa sfiorare la mia spalla. Mi sono girata: lei si è scusata. 
Proprio in quel momento, dagli altoparlanti, una voce ricordava la giornata dedicata a noi donne. 

La ragazza ha iniziato a raccontare, come a giustificarequel suo gesto che richiedeva conforto,  comprensione. Francese, 35 anni, insegnante di lingue alle medie. Ama il suo lavoro. È sposata, il marito lavora a Londra, lei resta con i figli. Oggi è il suo compleanno. Ha festeggiato con le amiche. Ma piangeva. Non è felice. 

Mi ha confidato che suo padre le aveva augurato buon compleanno con un messaggino. 
Lo stesso padre che la picchiava. 
“Non posso odiarlo, è mio padre”, ha sussurrato. 

In quelle parole ho sentito tutta la contraddizione: il bisogno di un amore che dovrebbe proteggere e che invece ha ferito. La sete di un abbraccio che rimane, anche quando la memoria brucia. 

Poi si è alzata, è scesa. 
E io sono rimasta lì, a piangere. 
Piango per lei, perché forse non sono riuscita a consolarla. 
Piango perché questo mondo è sbagliato. 
Piango perché, nonostante la violenza, il cuore continua a chiedere amore. 

Oltre la memoria, la responsabilità

La violenza sulle donne non è solo un fatto di cronaca: è una ferita che attraversa generazioni, famiglie, culture. È un dolore che si nasconde dietro sorrisi, compleanni, abbracci mancati. 
Il 25 novembre non è soltanto un giorno di memoria: è un invito a cambiare, a educare, a riconoscere che il rispetto non è un optional, ma la base di ogni relazione. 
Ogni donna che racconta la sua storia ci consegna un frammento di verità. E noi, ascoltando, diventiamo custodi di quella voce. 
Perché la violenza non si combatte solo con leggi e manifestazioni, ma anche con gesti quotidiani: un ascolto sincero, una parola di conforto, un “ti credo”. 

Oggi, 25 novembre, fermiamoci un istante. Ascoltiamo le storie, anche quelle che fanno male. Ricordiamo che dietro ogni volto c’è un cuore che chiede amore. E impegniamoci, ognuno nel proprio quotidiano, a costruire un mondo dove nessuna donna debba più piangere per la mancanza di rispetto. 

Il ritorno negato: quando il talento trova le porte chiuse a casa propria

Mio figlio, laureato a Milano e oggi all’estero, è uno dei tanti giovani che l’Italia forma ma non trattiene. Alle istituzioni chiedo: non basta richiamare, bisogna costruire un sistema che accolga, valorizzi e renda possibile il ritorno.

-Ma tu, dove vivi?

-Residenza o domicilio? Rispondo guardando perplessa chi me lo chiede.
Sembra una domanda banale e semplice, invece per me apre un vaso di pandora.

Restare attaccata con le unghie e con i denti alla propria terra sicula è il mio scheletro nell’armadio.

Vorrei tornare ma non posso.

Ai giovani consiglio sempre di andare a formarsi fuori e fare esperienze all’estero.
Arricchire il proprio bagaglio culturale è fondamentale per l’evoluzione e l’affermazione del progetto chiamato “me stesso” che comprende il raggiungimento di obiettivi sempre più arditi e allettanti per una serena felicità nel vivere la vita, quella vita che sogniamo in un luogo ben preciso.

La terra che ci ha dato i natali e che ci ha visto muovere i primi passi, insieme ai nostri affetti più cari, la stessa terra che a volte ci fa arrabbiare e ci delude perché ingrata.

Ma poi, quando si torna, ci si accorge che qualcosa è cambiato. Non solo fuori, ma dentro. La terra che si era lasciata con un misto di rabbia e nostalgia diventa improvvisamente specchio di ciò che si è diventati. E allora quella terra, che sembrava stretta, lenta, a volte ostile e ottusa, si rivela custode di un’identità che non si può rinnegare.

🌿 Tornare non è un fallimento, è una scelta. 
Una scelta che richiede coraggio, perché significa confrontarsi con ciò da cui si era fuggito, con le aspettative altrui, con il senso di inadeguatezza che spesso accompagna chi decide di investire nel proprio luogo d’origine. Ma è anche un atto d’amore: verso se stessi, verso le proprie radici, verso una terra che ha bisogno di visioni nuove e di energie fresche.

💬 E allora sì, consiglio ai giovani di partire. 
Ma anche di tornare, se lo sentono. Di portare con sé il meglio di ciò che hanno imparato, e di trasformarlo in seme per un futuro diverso. Perché la vera rivoluzione non è solo altrove: è nel modo in cui si guarda ciò che si ha, e si sceglie di renderlo fertile.

E le istituzioni???

📣 Un appello alle istituzioni: non basta richiamare, bisogna accogliere.

Se davvero vogliamo che i talenti tornino, dobbiamo smettere di considerarli semplici numeri da reintegrare. I cervelli in fuga non sono solo risorse da recuperare: sono persone che hanno investito tempo, energie e sogni altrove, spesso perché qui non trovavano spazio. E allora, quando tornano, non possono essere accolti con la stessa inerzia che li ha spinti a partire.

🎯 Serve una visione, non solo incentivi. 
Serve un sistema che valorizzi il merito, che premi l’innovazione, che renda possibile costruire qui ciò che si è immaginato altrove. Serve una burocrazia snella, una rete di supporto concreta, un dialogo aperto con chi ha scelto di tornare. Perché il ritorno non sia una resa, ma un nuovo inizio.

🌱 Le istituzioni hanno il dovere di seminare fiducia. 
Di creare le condizioni affinché chi torna non si senta un estraneo, ma un protagonista. Perché solo così la fuga dei cervelli potrà trasformarsi in un ritorno di cuore, di idee, di futuro e di speranza.

Il Mondo di Ketty – Cannoli sushi e arancine molecolari: la vendetta della tradizione nella cucina siciliana

Toccare un piatto tradizionale è come mettere le mani su un affresco del ‘600: lo puoi guardare, lo puoi ammirare, scrutare, analizzare, lo puoi adorare ed emozionarti, ma guai a modificarlo. Eppure, nel mondo moderno, tutto è remixabile.


La cucina siciliana non è solo cibo: è rito, è memoria, è sacralità. Basta pensare a come si dimostra affetto in terra sicula, chi si preoccupa per te, chi ti vuole bene, non ti chiede come stai ma se hai mangiato. Non è difficile da capire se pensiamo che chi sta male in effetti non tocca cibo.
Toccare un piatto tradizionale è come mettere le mani su un affresco del ‘600: lo puoi guardare, lo puoi ammirare, scrutare, analizzare, lo puoi adorare ed emozionarti, ma guai a modificarlo. Eppure, nel mondo moderno, tutto è remixabile. Anche il cannolo ahimè, e non parlo dell’ormai famoso cannolo scomposto, nato dall’esigenza di un risparmio economico sulle rotture delle fragilissime cialde.

Il cannolo sushi: una visione che fa tremare le nostre nonne sicule, quelle con il grembiule sempre addosso.
Alga nori, riso e ricotta.
Il Giappone incontra Caltanissetta, ma nessuno aveva chiesto questo incontro, soprattutto i nisseni.
L’arancina gourmet: minuscola, servita su una lastra di ardesia, con crema di foie gras e polvere d’oro. Prezzo: quanto un pranzo di matrimonio a Bagheria.
Gustoso? E chi lo sa, era così piccola che neanche per provarne la cottura.
La caponata destrutturata: melanzane sparse come se fossero reduci da una battaglia, con una riduzione di aceto balsamico che sembra un quadro di Pollock, e forse con lo stesso prezzo.

C’è chi dice che l’innovazione è vita ma non quella della tradizione che viene presa in ostaggio da chef con la pinzetta, forse è il momento di alzare la voce. O almeno la forchetta.

Però devo dire che la Sicilia resiste. Tra un food blogger che chiama la granita “sorbetto siculo” e un influencer che mette il pistacchio ovunque, noi continuiamo a friggere panelle e a mangiare cassate senza sensi di colpa. Perché certe cose non si toccano. O si toccano solo con rispetto. E con appetito.
E tu, “manciasti”???

La mia Agrigento: Un viaggio tra emozioni e cultura

Esplorando le meraviglie di Agrigento, un viaggio nelle emozioni vibranti dell’arte, nella storia e nel teatro


Le mie ferie sono finite, ne devo prendere atto, e lo faccio, lo faccio mentre mi dirigo verso il nord dove svolgo il mio lavoro.
Conservo però nel cuore tutte le emozioni vissute nella mia Sicilia, come fossero un mantra positivo per l’inverno che mi attende.
È di alcune di queste emozioni vissute e assaporate che voglio raccontarvi condividendo con voi quelle che mi rendono una fiera ed orgogliosa “giurgintana”.
Appena messo piede in città, mi accoglie mio figlio maggiore, e un aperitivo nel meraviglioso nel giardino della Kolymbetra, era quello che mi ci voleva per riconnettermi con la natura e ritemprare i ritmi, da “a work situation to a holiday situation”.
Per approvvigionare di acqua l’arida  terra sicula, nel 480 A.C., il tiranno Terone fece costruire una rete di canali che trasportò e raccolse l’acqua in una grande conca, l’ampiezza di 7 stadi, chiamata Kolymbetra, poi diventata un ricco vivaio di pesci. Il giardino della Kolimbetra, oggi affidato al Fai, è un luogo che regala sensazioni di pace, benessere interiore e meraviglia,
Camminare lungo i suoi sentieri sterrati, nel cuore della Valle dei Templi, tra piante tipicamente mediterranee, è un’esperienza che avvolge e inebria i sensi: essenze di zagara, mirto, carrubo, ulivi secolari, mandorleti, aranceti, melograni e limoni unito al rumore dell’acqua che scorre negli antichi canali, riequilibra il benessere psicofisico. Qui, passato, presente e bellezza si fondono in un abbraccio unico.
La mattina dopo, ops… forse dovrei dire la stessa notte perché la sveglia suonò neanche dopo 3 ore che ero andata a letto.
Desideravo assistere ad uno spettacolo unico e originale di emozioni intense ed immersive, un’esperienza artistica, nel parco archeologico della valle dei Templi di Agrigento, “Il Risveglio degli Dei” un’opera musicale davanti il Tempio della Concordia, regista teatrale, autore e compositore Marco Savatteri fondatore e direttore della Casa del Musical ad Agrigento, e qui nato e cresciuto. La sua è una scuola di produzione teatrale nata per formare giovani talenti del territorio, offrendo a molti giovani delle opportunità che lui stesso non ha avuto.
Per Agrigento, Savatteri, si dedica a 360 gradi investendo nella cultura locale con progetti teatrali e musicali che portano in scena il patrimonio  culturale, la bellezza unica e la storia millenaria della Sicilia esportando in tutto il mondo queste preziosità.
Le sue opere teatrali e musicali, come “Camicette bianche” hanno raggiunto anche il palcoscenico di New York.
Altra emozione vissuta e assaporata, la visita teatralizzata guidata dallo stesso Marco, di uno dei luoghi culturali simbolo della città, il Teatro Pirandello di Agrigento.
L’obiettivo di Marco è rendere Agrigento una città in cui i giovani possano restare, studiare e lavorare nel settore artistico, favorendo e spronando una rinascita culturale e sociale sostenuta dall’arte e dal teatro.
L’alta affluenza di turisti e non solo, a queste iniziative confermano quanto sia importante mantenere viva e diffondere la cultura agrigentina nel mondo, offrendo quel senso di appartenenza a chi è emigrato lontano dal proprio luogo d’origine. Questo orgoglio e questa energia positiva alimentano la rinascita culturale di Agrigento, facendola brillare oltre i confini, e chi meglio di me può confermarlo?