Forse non ci siamo mai capiti, davvero.
Viviamo nel tempo dell’iperconnessione: tutto è immediato, costantemente aggiornato, pronto. Tranne noi. Tranne i legami profondi, che sembrano farsi più fragili proprio nel mondo che dovrebbe facilitarli.
Nelle coppie, nei rapporti quotidiani, cresce un silenzio nuovo — un silenzio digitale ma carico di tensione, di incomunicabilità, che si nasconde dietro uno schermo illuminato.
Una frase, più di tutte, sembra cristallizzare questa distanza invisibile:
“Forse non ci siamo mai capiti, davvero.”
Ci sono frasi che non accusano. Semplicemente emergono, come l’unica verità possibile dopo tanti tentativi.
“Forse non ci siamo mai capiti, davvero.”
Non è rabbia. È resa. È la consapevolezza che, a un certo punto, qualcosa si è perso.
O non è mai stato trovato.
Viviamo immersi nella connessione, ma spesso naufraghiamo nel fraintendimento. Ci nascondiamo dietro un touch, con lo sguardo fisso su un display.
La presenza diventa apparente.
La voce si affievolisce.
Il tatto svanisce.
Le coppie di oggi non si lasciano più sbattendo le porte.
Si lasciano restando insieme.
Dividendo il letto, ma non i sogni.
La cena, ma non le parole.
Ogni “va tutto bene” è una barriera. Ogni “non è niente” è un silenzio pieno di crepe.
E dietro, cresce il risentimento.
Un rancore tiepido, che non esplode ma corrode. Come l’umidità nei muri: invisibile, ma presente.
Poi un giorno viene giù tutto, con una frase che pesa più di un addio.
La tecnologia, in sé, non è il nemico.
È lo specchio dei nostri vuoti, il rifugio dalla fatica di esserci davvero.
Perché amare, oggi, significa scegliere di restare presenti in un mondo che ci distrae di continuo.
Significa ascoltare senza interrompere. Parlare senza filtri.
Guardarsi negli occhi, anche quando fa male.
Per molte donne, questa distanza emotiva ha un peso doppio.
Da una parte, il desiderio di comprensione. Dall’altra, la stanchezza di doverla sempre costruire da sole.
Siamo cresciute con l’idea che capire l’altro sia un nostro compito, quasi una missione.
Ma forse è ora di disobbedire a questa narrativa.
Di smettere di decifrare silenzi, intuire bisogni, reggere il carico invisibile della comunicazione emotiva.
La frase “forse non ci siamo mai capiti” può diventare un punto di svolta, non di sconfitta.
Può essere l’inizio di un nuovo modo di stare insieme: più autentico, più paritario, più umano.
Perché l’intimità non è solo vicinanza fisica.
È la scelta, ogni giorno, di mettersi davvero in gioco.
Di ascoltare, di esporsi, di restare.
E soprattutto: di non farlo da soli.