La formazione continua motore di sviluppo del patrimonio italiano

A Napoli, la presentazione dell’accordo tra gli Stati Generali del Patrimonio Italiano e FondItalia per sostenere i beni materiali e immateriali del Paese

È stato presentato oggi, mercoledì 20 settembre, nella Sala del capitolo del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, il protocollo di intesa siglato tra gli Stati Generali del Patrimonio Italiano e FondItalia durante la seconda tappa del road show nazionale (la prima si è svolta a Torino lo scorso mese di aprile) e che toccherà anche le città di Bari e Roma. La valorizzazione del patrimonio nazionale, l’avvio di processi di rinascita dei mestieri e delle maestranze, l’accesso e la mobilità per le professioni legate al patrimonio, al turismo, ai beni culturali, al cinema sono alcune delle finalità contenute nel protocollo presentato questa mattina nato, come si legge nel documento, «dalla necessità di favorire lo sviluppo e l’approfondimento di rilievo negli ambiti della cultura, dell’arte, dell’architettura, dell’economia, dell’occupazione e dell’innovazione». La partnership, pertanto,  articolata in una serie di attività di ricerca, formazione, innovazione e divulgazione, prevedrà la realizzazione di iniziative volte a favorire lo sviluppo di alcuni ambiti/settori del tessuto economico e culturale italiano, favorendo l’inserimento occupazionalel’incremento e la certificazione di competenze professionali negli ambiti connessi al patrimonio«Il nostri impegno è quello di promuovere e sostenere le attività formative a favore di lavoro e occupazione in uno dei settori strategici per l’economia italiana, che è rappresentato dal variegato patrimonio, materiale e immateriale, di cui il Paese è ricco» è il commento di Egidio Sangue, direttore e vicepresidente di FondItalia.

L’appuntamento di Napoli, come detto, è il secondo di una serie di incontri finalizzati a far dialogare gli Enti promotori con le istituzioni locali. Un incontro di confronto e di discussione sulle opportunità per collegare i beni e il patrimonio culturale con la formazione, il lavoro e l’occupazione alla presenza dei protagonisti del mondo della formazione e del lavoro di Napoli e della Campania. «Siamo molto orgogliosi di aver stipulato questo protocollo con gli Stati Generali del Patrimonio per la valorizzazione delle competenze che ruotano attorno al patrimonio nazionale – è il commento di Francesco Franco, presidente di FondItalia . Oggi presentiamo le nostre iniziative a Napoli in questo appuntamento che si propone come occasione di confronto, discussione e incontro sulle necessarie opportunità per congiungere i beni e il patrimonio culturale con la formazione, il lavoro e l’occupazione».Per Ivan Drogo Inglesepresidente dell’ente Stati Generali del Patrimonio «con il nostro ente abbiamo dato seguito alla previsione contenuta nel Codice dei Beni Culturali, ovvero che la valorizzazione del patrimonio può avvenire anche per iniziativa privata. A questo principio di base, grazie all’accordo con FondItalia, siamo soddisfatti di poter unire quello della formazione rivolta al lavoro e all’occupazione».Il road show di presentazione dell’accordo è promosso dagli Stati Generali del Patrimonio Italiano e da FondItaliacon  la collaborazione di FederTerziario, in rappresentanza di oltre 90mila imprese italiane, e UGL – Unione generale del lavoro, organizzazione sindacale che conta 1,8 milioni di iscritti. Per Nicola Patrizi e Alessandro Franco, presidente e segretario generale di Federterziario «occorre creare un circuito del “bello” che serva a promuovere le grandi risorse artistiche e culturali nazionali attraverso una combinata azione di formazione e sensibilizzazione per stimolare il coinvolgimento dei giovani nell’essere protagonisti e custodi del Made in Italy in tutte le sue forme».In Campania, FondItalia è ben radicata grazie alle 19.800 imprese aderenti per un totale di oltre 99.500 mila lavoratori. Le province con il maggior numero di adesioni sono quelle di Napoli (con 7.190 imprese aderenti, il 36% del totale), Salerno (con 5.441 imprese aderenti, il 27% del totale) e Caserta (con 4.333 imprese aderenti, il 22% del totale). Ad oggi, hanno beneficiato di attività formative finanziate dal Fondo 2.377 imprese e 17.422 lavoratori, per un totale di contributi di oltre 10 milioni di euro. Napoli la città con il maggior numero di imprese coinvolte in progetti formativi (592 imprese aderenti, il 25% del totale).

Sicurezza sul lavoro: oltre 19 milioni nella formazione

I dati sulla formazione su SSL con il contributo di FondItalia nel periodo 2019/2023.
Lombardia, Puglia e Lazio le regioni più virtuose.

Più di 19 milioni euro di contributi sono stati concessi nel periodo 2019/2023 da FondItalia (Fondo Formazione Italia) a sostegno dei i corsi obbligatori aziendali sulla Sicurezza e la Salute nei luoghi di lavoro. Contributi chehanno interessato una platea di oltre 60mila lavoratori per un totale di quasi 6mila imprese. Di queste, quasi 3mila sono microimprese (fino a 9 dipendenti), poco più di 2mila piccole imprese (da 10 fino a 50 dipendenti) e 634 le grandi aziende con oltre 50 dipendenti. La regione italiana dove si è maggiormente investito in formazione sul tema è stata la Lombardia (più di 4 milioni di euro nel quinquennio), dove hanno preso parte ai corsi di formazione ex lege quasi 20mila lavoratori, per un totale di 2mila imprese. Al secondo posto di questa speciale classifica la Puglia, con quasi 3,5 milioni di euro per progetti finanziati e 557 imprese aderenti per un totale di 8.500 lavoratori e, al terzo, il Lazio con 277 imprese e quasi 5mila lavoratori.

I comparti produttivi che hanno espresso maggiore esigenza di risorse per la formazione obbligatoria sono le “attività manifatturiere” (quasi 5 milioni di euro per circa 1500 imprese e poco meno di 13mila dipendenti), il “commercio all’ingrosso e al dettaglio” (oltre 3 milioni di euro di contributi per più di mille  imprese e oltre 10mila lavoratori) e la “sanità e assistenza sociale” (quasi 2 milioni di contributi per 270 imprese e oltre 7mila dipendenti).

«Il sistema imprenditoriale italiano si è dimostrato molto attento alla formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sui posti di lavoro –è il commento di Egidio Sangue, vicepresidente e direttore di FondItalia-; ciò nonostante, il nostro Paese paga ancora uno scotto troppo drammatico in termini di incidenti e morti sul lavoro. Certo, la Legge 81 del 2008 ha dato alcuni benefici, ma dobbiamo tutti quanti fare di più. Penso all’aggiornamento che è, ad oggi, obbligatorio ogni cinque anni, ma che dovrebbe essere più stringente. Oppure alla scuola dove bisognerebbe iniziare a parlare di Sicurezza e Salute nei luoghi di Lavoro con particolare attenzione al futuro dei nostri giovani; o ancora ai lavoratori stranieri, che spesso incontrano difficoltà di comprensione linguistica e a cui dobbiamo necessariamente rivolgere un’attenzione differente».

Per Francesco Franco, presidente di FondItalia«la formazione obbligatoria in materia di Salute e Sicurezza nei luoghi di Lavoro rappresenta un caposaldo della normativa italiana che agevola, migliora e rende più sicura la vita professionale dei lavoratori. A tutto ciò, noi di FondItalia consigliamo di accompagnare corsi di perfezionamento più mirati e specifici al fine di rendere ancora più preparati e competenti i lavoratori italiani».

L’Italia ha la necessità (urgente)di lavoratori preparati e competenti

Un convegno alla Camera dei Deputati inquadra lo stato dell’arte della professionalizzazione dei lavoratori italiani in vista delle sfide, decisive, del 2024 dovute ai fondi del PNRR.

Sono oltre 230mila i posti di lavoro vacanti che le aziende non riescono a coprire per mancanza di disponibilità. La fotografia scattata da Unioncamere-Anpal, attraverso il sistema informativo Excelsior, ha, inoltre, evidenziato un aumento rispetto al 2022 di 7 punti percentuali passando dal 38,6% del 2022 al 45,6% di quest’anno. Per il 13,5% delle aziende interessate dall’indagine di Unioncamere la carenza di assunzioni è dovuta alla preparazione inadeguata dei candidati. Il lavoro, dunque, c’è ma non si trovano lavoratori preparati alle necessità aziendali. Con il rischio, nel 2024, di perdere ulteriore terreno perché, come ha evidenziato la Banca d’Italia, gli oltre 300mila posti di lavoro ad alto valore aggiunto che saranno creati grazie ai fondi del PNRR per accompagnare le transizioni digitali, ambientali ed energetiche non troveranno risposte professionali adeguate nella platea dei lavoratori del nostro Paese.

Per superare questa criticità, che pone l’Italia in una posizione arretrata rispetto alle economie europee, si è discusso oggi pomeriggio in un convegno organizzato da ExpoTraining in collaborazione con FondItalia (Fondo Formazione Italia), sul tema “Il superamento del mismatch per l’occupazione e la competitività attraverso l’apprendimento permanente” che si è svolto oggi nell’Aula dei Gruppi Parlamentari alla Camera dei Deputati. Valentina Aprea, esperta di politiche della formazione e del lavoro, nella sua introduzione al convegno, è stata lapidaria«Senza un capitale umano ben formato e ben formante, lo sviluppo industriale è praticamente impossibile. Dobbiamo pensare e favorire nuove forme di collaborazione: le scuole sono costrette a diventare fabbriche di competenze, e non solo di cittadinanza; le imprese, fabbriche di conoscenza e non solo di prodotto. È l’unico modo per gestire il cambiamento in atto»Se da un lato, come ha certificato l’Istat, l’occupazione è in crescita ed è salita ai massimi dal 2004 con una quota pari al 61%, dall’altro «il lavoro è cresciuto perché la domanda di lavoratori da parte delle imprese viene soddisfatta soltanto attraverso personale non qualificato» ha precisato la Aprea.

Le linee guida introdotte del PNRR hanno sostanzialmente ammesso che non ci potrà essere nessuna modernizzazione del Paese se non si provvederà, in tempi brevi, a creare una nuova generazione di “tecnologi” che abbiano le competenze per trasformare con le tecnologie più avanzate (dall’intelligenza artificiale alla robotica) i settori della vita pubblica e privata. Allo scopo, sono stati stanziati oltre 1,5 miliardi di euro per rafforzare il sistema degli ITS Academy, le scuole di eccellenza e alta formazione post diploma della durata di due anni, riconosciute dal ministero dell’Istruzione ed equivalenti a un titolo di studio di 5° livello EQF (European Qualifications Framework). Nel mese di maggio di quest’anno, Anpal, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, ha reso disponibile anche agli operatori privati il sistema SGA (Skill Gap Analysis), lo strumento con cui si valutano le distanze tra competenze dell’utenza e quelle effettivamente richieste per svolgere un determinato lavoro, così da avere una maggiore percezione nella comprensione delle “mancanze” che i lavoratori e le lavoratrici italiane hanno nei confronti delle posizioni professionali disponibili. Ilaria Cavo, vicepresidente della Commissione Attività Produttive della Camera, ha illustrato i risultati di un’indagine sul Made in Italy da poco condotta dalla Commissione che ha portato alla luce una «elevatissima necessità di professionalizzazioni da parte di tutte le realtà imprenditoriali del Paese. L’indagine -ha continuato- ci mette di fronte alla necessità di mettere in atto tutte le azioni necessarie ad anticipare il problema della professionalizzazione e non a inseguirlo. Molto è stato fatto inserendo i tutor d’orientamento nelle scuole, ma dobbiamo insistere maggiormente affinché i nostri ragazzi e le loro famiglie scoprano e sappiano cosa sono gli ITS ad elevata specializzazione perché le necessità delle imprese passano dalla filiera della formazione tecnico-professionale». Cristina Grieco, presidente di Indire, l’istituto per l’innovazione della scuola italiana, ha puntato l’attenzione sul problema dei neet, ossia di quei giovani che non sono inseriti in nessun percorso di formazione o di lavoro: «In Europa sono preoccupati per gli 8 milioni di Neet presenti a livello comunitario, noi ne abbiamo il 30% e sono giovani che non stanno nei percorsi formativi né in quelli di istruzione o in attività lavorative. Non ce lo possiamo permettere proprio per le esigenze del nostro contesto produttivo. Il problema è complesso e occorre fare sistema: dal 2012 esiste una legge sull’apprendimento permanente che istituisce il diritto di tutti ad avere un apprendimento per tutto l’arco della vita nonché il diritto di vedersi riconoscere le competenze acquisite, tuttavia a distanza di dieci anni questa rete per l’apprendimento permanente ancora stenta a partire, a realizzarsi concretamente».Il tema della formazione, con un particolare focus sulla scuola, è stato affrontato da Roberto Ricci, presidente di Invalsi, l’istituto per la valutazione del sistema scolastico, che ha esordito dicendosi «stupito dello stupore che il disallineamento tra la ricerca e la mancanza di professionalizzazioni suscita e continua a suscitare. Dobbiamo intervenire fin dalla scuola dell’infanzia per riuscire a colmare il deficit di competenze che i nostri giovani stanno accumulando di anno in anno. Il 45% dei maturandi che, in questi giorni stanno affrontando le prove di maturità hanno difficoltà a lavorare con le percentuali. Solo il 70% di coloro che, cinque anni fa hanno lasciato le scuole medie, oggi stanno affrontando l’esame di maturità. Più del 54% dei cittadini italiani, non solo degli studenti, non ha competenze digitali di base. Guardando a questi dati risulta evidente che dobbiamo aiutare la scuola a trovare quelle vele costruttive perché progredisca e la aiuti a “sporcarsi” le mani con il rigore e la costanza».

Tra  gli interventi, anche quelli del segretario confederale della Cisl, Giorgio Graziani e del segretario generale della UGL, Francesco Paolo Capone che hanno dato un’interpretazione più vicina al mondo del lavoro e delle imprese: «La partita è complicata e non è esclusivamente legata alla formazione e al grado di istruzione -ha detto Graziani-, ma a un contesto sociale complicato: mi riferisco in particolare a un assetto demografico che non ci rende tranquilli in prospettiva anche rispetto alle esigenze numeriche delle imprese. Del resto, è pur vero che tra innovazione e digitalizzazione si stanno riducendo alcuni spazi di occupazione, tuttavia le imprese avranno sempre bisogno di personale qualificato, ma prima di tutto di personale. E sono proprio le persone che si mettono al servizio delle imprese, del lavoro e quindi del Paese che poi contribuiscono a renderlo competitivo a un livello qualitativo importante»Per Capone è indispensabile investire «nell’orientamento scolastico che sia spinto non solo dalle tendenze, ma anche dalle esigenze del mercato del lavoro. Viviamo, d’altronde, in un’epoca di paradossi. Un’indagine che abbiamo condotto assieme al Censis ci racconta che mai come oggi ci sono pochi giovani nel nostro Paese. Mai come oggi, abbiamo un capitale di investimenti, quelli del PNRR, che è paragonabile solo al Piano Marshall. Mai come oggi, nonostante le tante problematiche che abbiamo sentito, ci sono tanti giovani che sono inseriti nei percorsi scolastici. E mai come oggi, c’è una domanda di lavoro che non è mai stata così alta nella storia del nostro Paese. Eppure, fatichiamo a trovare le professionalità necessarie. Dobbiamo aiutare i giovani a scegliere i propri percorsi formativi non solo in base ai desiderata dei genitori, ma sulla base delle vere e proprie possibilità che il mercato del lavoro offre».

Sulle tematiche della formazione permanente per sopperire alla mancanza di competenze è intervenuto Egidio Sangue, direttore e vicepresidente di FondItalia«Dobbiamo essere molto onesti e parlarci con tutta franchezza: l’Italia ha un bisogno urgente di professionalizzazioni ad alto valore aggiunto e, fintanto che le nuove generazioni non saranno pronte per affrontare le sfide che li attendono, dobbiamo investire fortemente e con decisione sulla platea di potenziali lavoratori che offre il mercato. Per farlo, le risorse ci sono, le imprese sono attente e presenti. Dobbiamo utilizzare gli strumenti che abbiamo in maniera profittevole perché, faccio una provocazione, siamo certi che le competenze richieste non ci siano o non riusciamo a individuarle con gli strumenti che abbiamo a disposizione?». Anche Nicola Patrizi, presidente di FederTerziario, ha incentrato il suo intervento sulla necessità di investire fortemente nella formazione continua«Come organismo datoriale sosteniamo il ruolo delle politiche attive del lavoro indirizzate all’investimento su un forte partenariato pubblico privato, contemplando, inoltre, la necessità di mettere in campo risorse per la qualificazione e riqualificazione orientata. A questo proposito bisogna premiare le progettualità che leghino la formazione e impresa, col coinvolgimento attivo e partecipato di tutti i soggetti interessati, a partire dagli imprenditori. In tale contesto, FederTerziario ormai da tempo promuove il potenziamento del ruolo dei Fondi interprofessionali che lavorano in stretta sinergia con le imprese, puntando non solo alla platea degli occupati da formare, ma anche verso le persone non ancora assunte»Carlo Barberis, presidente di ExpoTraining, ha concluso il convegno ricordando che il mismatch è «un annoso problema che costa all’Italia milioni di euro perché le aziende non riescono a trovare le competenze che necessitano e che ricercano. L’obiettivo del convegno che si è svolto oggi -ha chiosato- è quello di riuscire a far percepire la necessità di ragionare diversamente e con approcci nuovi di modo che gli ecosistemi scolastico e imprenditoriale abbiano modo di fertilizzare il rapporto reciproco e di sviluppare quelle correlazioni che servono al Paese formando quelle competenze funzionali all’economia nazionale».

Il benessere dei lavoratori al centro delle politiche di welfare aziendale

Dati e best practice presentati durante il convegno HRC Well@Work 2023.
I nuovi benefit previsti dal Decreto Aiuti Quater hanno stimolato il dibattito.

Tempo libero, ricreazione, assistenza sanitaria, educazione, fondi di previdenza. Gli ambiti di intervento previsti dai benefit inseriti nel Decreto Aiuti Quater approvato dal Governo sono molteplici e dimostrano quanto il Welfare Aziendale costituisca il futuro per il sistema imprenditoriale del Paese.

Stando ai dati Istat, contenuti nell’ultimo “Censimento permanente sulla sostenibilità nelle imprese italiane” rilasciato nel 2020 su dati raccolti tra il 2016 e il 2018, il 68,9% delle imprese aveva dichiarato di «realizzare azioni per migliorare il benessere lavorativo» e che tali azioni si concretizzavano «attraverso l’adozione di una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro o di buone prassi collegate allo sviluppo professionale» quali «crescita professionale (65,6%), progressione economica (68,6%), passaggi di ruolo (65,6)». Più contenute, invece, le prassi per collegare pari opportunità (61,9%) e coinvolgimento aziendale (59,4%). Poi è arrivata la pandemia da Covid-19 che ha radicalmente cambiato le aspettative e le esigenze dei lavoratori. Secondo un’indagine condotta nel settembre 2022 da Doxa per Mindwork, infatti, emerge chiaramente quanto siano, oggi, indispensabili interventi dedicati alla salute psico-fisica dei lavoratori più che interventi destinati alla professionalizzazione dei lavoratori collegati alla pura vita aziendale. Il 50% degli intervistati da Doxa ha dichiarato di soffrire di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro. Il 62% dei lavoratori e delle lavoratrici intervistate ha dichiarato di aver provato almeno uno dei principali segnali del bornout (sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro). Per il 59% degli intervistati le responsabilità e gli impegni di lavoro interferiscono con la sfera privata e familiare. Dati che, precisa l’indagine, sono tutti in aumento anno su anno.

Numeri che illustrano quanto non solo il futuro, ma soprattutto il presente delle organizzazioni siano esse pubbliche, private, profit o no profit passa dal benessere dell’individuo che, complice l’attuale momento storico, caratterizzato da incertezze, guerre, inflazione, emergenza climatica, si scopre sempre più vulnerabile. Proprio il benessere dei lavoratori, intesi come individui parte integrante della società e non già di una realtà imprenditoriale, è stato al centro del convegno organizzato da HRC Group dal titolo “Well@Work” che si è tenuto lunedì nella sede di BNL – BNP Paribas a Roma durante il quale è emerso che «il benessere fisico, quello psicologico e relazionale, sono le colonne portanti di programmi di benessere dei dipendenti con impatti positivi su engagement e motivazione». Tra gli spunti emersi, i giovani e le loro ambizioni sono stati protagonisti grazie ai dati di un recente sondaggio condotto Jointly su una platea di studenti alla soglia del diploma di maturità che hanno illustrato quanto per i ragazzi tra i 17 e i 18 anni sia importante «trovare un corretto rapporto tra tempo trascorso al lavoro e tempo per la vita privata e il benessere personale». Ma non solo: per il 50% degli intervistati risulta essenziale «sentirsi coinvolto nel costruire il futuro dell’azienda per la quale lavorerà». Benessere che, soprattutto nella popolazione lavorativa più giovane, è stimolato dalla possibilità di godere di benefit legati all’attività fisica. Una ricerca condotta dall’Università Carlo Bo di Urbino per conto di Technogym, ha evidenziato che il 92% dei dipendenti dell’azienda di fitness svolge quotidianamente delle attività fisiche anche durante il proprio tempo libero, contro una media del 70% dei lavoratori di aziende competitor grazie proprio alle politiche di wellness messe a disposizione dall’azienda in favore dei proprio dipendenti.

In apertura dei lavori, Geraldine Conti, head of people & culture BNL BNP Paribas, si è concentrata, nel suo intervento, sul concetto aziendale di “inclusione”: «Cosa significa concretamente inclusione per un’azienda? Significa mettere in pratica ogni giorno azioni che pongano al centro le persone e il loro universo di necessità ed interessi, trovando le migliori soluzioni per un efficace bilanciamento tra vita lavorativa e personale; significa attivarsi per utilizzare al meglio le norme che il contesto legislativo mette a disposizione delle lavoratrici e dei lavoratori in situazioni di difficoltà; significa attuare politiche di lavoro flessibile dove l’attività lo consenta. Significa fare dell’inclusione un valore agito: come Banca e come Gruppo, anche con un costante dialogo sociale,  siamo impegnati in questo, per rendere il nostro lavoro moderno ed agile, al passo con l’evoluzione e la trasformazione, variabili del nostro tempo». Stefano Colasanti, responsabile di Wellmakers BNP Paribas ha invece ricordato le imprese devono «costruire una cultura del welfare per intercettare i bisogni reali in un contesto caratterizzato da incertezze e complessità. WellMakers è un ecosistema nato proprio per inglobare le esperienze delle società di BNL e BNP Paribas nel campo dell’assistenza alle persone e per sviluppare, nella logica dell’open banking, le partnership con i maggiori player nei più diversi settori del wellbeing e del vivere quotidiano. Sono certo che un Gruppo internazionale come BNP Paribas, impegnato nella sostenibilità intesa soprattutto come centralità delle persone, possa essere un esempio di come le imprese oggi debbano e possano essere non solo soggetti economici ma anche attori sociali».

Tanti gli interventi che si sono susseguitiPer Maximo Ibarra, Ceo Engineering, «per investire nelle persone all’interno di una organizzazione è necessario creare un ambiente di lavoro aperto, sicuro, inclusivo e capace di assicurare un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata. Engineering è un’azienda fortemente human capital, con oltre 15mila professionisti nel mondo che rappresentano il principale asset aziendale. Per questo sviluppiamo attente politiche di gestione delle risorse umane, programmi per la sicurezza e la salute sul lavoro, e incoraggiamo nei team politiche che favoriscano la creatività e l’iniziativa individuale, garantendo in modo naturale la crescita, l’integrazione e il benessere personale di tutti». Per Andrea Lugo, HR director di Aruba, la defiscalizzazione introdotta dal Governo rappresenta «un intervento emergenziale e il Governo dovrebbe farsene carico con azioni più strutturali e non confidando nella “discrezionalità” delle imprese, rischiando di creare aspettative che possono andare deluse perché il welfare aziendale è uno strumento utile ed efficace per andare incontro alle spese dei colleghi in ottica di fidelizzazione, tuttavia ancora insufficiente per colmare le esigenze di nuclei famigliari con figli a carico. Ci vuole una maggiore chiarezza dal punto di vista normativo e un innalzamento dei massimali di spesa». Anche Stefano Setti, head of human resources di Penske Automotive Italy, ha espresso  la propria soddisfazione per l’innalzamento dei contributi defiscalizzati promossa dal Governo che rappresenta «un importante segnale che spinge tutti a credere ancora di più nel welfare: aziende, sindacati e lavoratori. L’ulteriore passo in avanti dovrebbe essere quello di avere un approccio più completo alla retribuzione del lavoratore, cercando di salvaguardarne il potere d’acquisto e mettendo assieme tutti gli aspetti della retribuzione» mirando, come ha precisato, «al benessere psicologico dei lavoratori. La salute mentale deve essere un capitolo da aprire in modo serio e preparato e che non si limiti al mero approccio da “sportello psicologico” ma soprattutto alla giusta e bilanciata armonizzazione fra vita privata e lavorativa, primario strumento per permettere a tutti di dare il meglio e vivere bene». Ilaria Catalano, amministratore delegato di Poste Welfare Servizi e responsabile dei progetti innovativi in sanità del Gruppo Poste Italiane, ha sottolineato che i fringe benefit «possono essere un’opportunità per molte aziende che vogliono sperimentare il Welfare aziendale. Sono uno strumento semplice, adottabile anche dalle piccole realtà con meno possibilità organizzative richieste per lo sviluppo di piani strutturati. Sono misure di utilità funzionali per il dipendente e la famiglia, per rispondere ad esempio alla crisi energetica e al caro vita, quali quelle di esenzione dei buoni carburante e sul rimborso delle bollette per utenze di gas, acqua e energia, risposte coerenti con l’eccezionalità del momento e con la necessità di offrire un aiuto immediato alle famiglie» perché, come ha concluso nel suo intervento, «il welfare aziendale è  uno strumento prezioso per migliorare il clima lavorativo e il benessere, per aumentare l’engagement dei dipendenti e quindi la performance. È in grado di trattenere i talenti e attrarne di nuovi, facendo leva su benefici significativi, non solo dal punto di vista economico, in grado di conciliare il lavoro con la vita privata». Un’analisi attenta arriva poi da Stefano Angilella, HR director di Avanade che, sull’innalzamento dei fringe benefit a 3mila euro ha precisato quanto «a livello teorico, la misura si proponga di incentivare nuove dinamiche sociali nei confronti dei lavoratori, ma nella pratica si traduce in un’azione fiscale e di politica economica che ricade sulle imprese. Per Avanade, questa misura si somma a una serie di iniziative che stiamo già da tempo portando avanti in autonomia. È il caso del Flexible Benefits Program che consente ai dipendenti di utilizzare una parte del premio variabile per l’acquisto di beni e servizi legati al wellbeing. O ancora, la copertura di buona parte del costo di un piano medico definito ad hoc con la Cassa di Assistenza Sanitaria e il recente innalzamento a 30 giorni di permesso retribuito per congedo di paternità da aggiungere ai 10 previsti dall’obbligatorio». Angilella ha precisato inoltre che «nonostante l’obiettivo primario del welfare debba essere di natura sociale, la norma in oggetto si classifica come una misura emergenziale. La corsa che le aziende, ancora non ben strutturate, dovranno compiere per coprire questo incremento potrebbe portare a scelte non ponderate sulle reali necessità dei beneficiari. Dal punto di vista dell’attuabilità, poi, questo aumento è gestibile solo da aziende che hanno a budget risorse sufficienti. Le imprese che non hanno allocato nel corso dell’anno una spesa così elevata potrebbero avere reali difficoltà nel farlo adesso». Le iniziative di Avenade, ha concluso Angilella, agiscono su tematiche che«un sistema integrato di welfare dovrebbe tenere in conto per promuovere una maggiore sinergia tra pubblico e privato andando a coprire i servizi welfare di base, come l’assistenza sanitaria e all’infanzia. Sarebbe auspicabile che lo Stato offrisse maggiore sostegno a tutte le aziende impegnate nella creazione di programmi per la cura della famiglia e del benessere personale per creare così un sistema di protezione sociale più ampio e inclusivo».

Lavoro: sostituire i modelli attuali per dare voce ai talenti e alle competenze acquisite sul campo

Un convegno alla Camera dei Deputati apre il dibattito sul futuro delle certificazioni
dei lavoratori e sulle necessità che attendono i settori pubblico e privato.

Vincere le sfide del futuro richiede una rivoluzione copernicana che consenta al Paese di sostituire i sistemi verticali e autoreferenziali dell’istruzione, della formazione e del lavoro, ancorati alle logiche del ‘900, con sistemi circolari, capaci di contaminarsi, portando ogni cittadino ad accrescere i propri talenti e le proprie competenze non più in maniera standardizzata, ma piuttosto personalizzata. In sintesi, questo è quanto emerso dal convegno dal titolo «Accrescere la competitività attraverso le competenze e il talento» che si è tenuto oggi, mercoledì 10 maggio, nella sala Regina della Camera dei Deputati. L’iniziativa è stata promossa da FondItalia (Fondo Formazione Italia) ed Expotraining, e ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti delle istituzioni che hanno cercato di fare luce sulle trasformazioni necessarie e radicali che attendono l’Italia nei prossimi mesi. Valentina Aprea, esperta di politiche del lavoro, ha sottolineato come «ci sono almeno tre esigenze nella nostra società che attendono immediata risposta: quelle delle imprese, quelle dei giovani e quella dei formatori e degli educatori che, solamente se considerate come un’unica entità, possiedono le risposte alle tante domande che il nuovo mercato del lavoro richiede». Ad aprire gli interventi, Tiziana Nisini, vicepresidente della Commissione lavoro della Camera che ha concentrato l’attenzione sulla struttura portante del sistema imprenditoriale del nostro Paese: «Bisogna ricordare che al di là delle grandi aziende che hanno una struttura e riescono comunque a formare in maniera adeguata i propri dipendenti, il nostro tessuto produttivo è composto da piccole e medie imprese e molto spesso anche quella formazione che fanno nelle piccole realtà, che viene vista come un costo, non rimane come patrimonio al lavoratore, anche nell’ottica di un futuro cambiamento di posizione. Al centro ci sono le competenze ma non bisogna disperderle e quindi sarebbe opportuno creare una sorta di fascicolo personale che il lavoratore acquiesce e può mantenere nel suo percorso lavorativo».

Sul tema del lavoro e della produttività nazionale, ha puntato l’attenzione nel suo intervento Nicola Patrizi, presidente di FederTerziario: «La transizione energetica e lo sviluppo tecnologico stanno creando delle grandi polarizzazioni, cioè degli enormi aggregati produttivi che si stanno spostando su due continenti: gli Stati Uniti e la Cina. Anche per queste ragioni, le imprese italiane, nel nostro contesto, faticano a gestire la sfida. L’elemento di competizione resta la nostra produzione di eccellenze che vanno difese e potenziate, a partire dalla ricostruzione del sistema scuola che non può più permettersi di perdere studenti e deve, invece, diventare un luogo in cui poter stare bene e formarsi in maniera adeguata. Dobbiamo gettare le basi affinché nel prossimo decennio si creino le condizioni per avere più laureati pronti a promuovere e sostenere le nostre eccellenze e dobbiamo trovare delle soluzioni per sostenere economicamente in maniera adeguata queste professionalità». I dati presentati durante il convegno hanno dimostrato che bisogna intervenire soprattutto sui giovani che, stando ai dati dell’OCSE relativi al 2018, sono, per il nostro Paese, abbastanza imbarazzanti: la percentuale dell’Italia nella dispersione scolastica è stata del 14,7%, collocando il nostro Paese nelle ultime posizioni europee con 543mila giovani che hanno abbandonato gli studi. Non solo: stando ai dati INVALSI, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, un giovane su tre, in età compresa tra i 18 e i 24 anni, non possiede le competenze di base nelle capacità di lettura, nell’effettuare semplici calcoli, senza considerare la comprensione della lingua inglese, praticamente assente, che è ormai considerata necessaria per i diritti di cittadinanza europea, così come vengono considerati al giorno d’oggi. Proprio per andare incontro a queste mancanze di base e strutturali, la Fondazione CDP (Cassa depositi e prestiti) ha stanziato un fondo da 1,5 milioni di euro a disposizione di enti del Terzo Settore per contrastare la dispersione scolastica e attivare politiche di integrazione, grazie alla collaborazione di enti che, come si dice, vivono sui territori. Sul tema della formazione dei giovani si è concentrato Luca Malcotti, vicesegretario Ugl: «La grande necessità che abbiamo come sistema Paese è quella di introdurre una grande innovazione nelle politiche attive che abbiano una salda guida pubblica, ma che coinvolga il settore privato nell’intermediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro. Solo così possiamo evitare il rischio di cadere nuovamente negli stessi errori compiuti nel passato: ossia di formare figure professionali che, nel momento del loro reale inserimento nel mondo del lavoro, non saranno più attuali. Penso ai lavori che oggi vengono considerati giovani e freschi, come quelli di social media manager; ecco, il rischio che stiamo correndo è quello di formare molti social media manager che, tra dieci, vent’anni, non avranno le competenze richieste da un mercato in continua evoluzione».«Il mondo del lavoro reclama con forza la necessità di utilizzare un modello standardizzato ed un linguaggio comune, che consenta alle imprese di reperire facilmente lavoratori in possesso di competenze chiave per la loro mission e che garantisca ai lavoratori la valorizzazione delle proprie competenze –ha dichiarato Francesco Franco, presidente di FondItalia-. Per noi che ci occupiamo di promuovere la formazione continua e l’accrescimento delle competenze, preme anche che si giunga presto alla possibilità di garantire la spendibilità degli apprendimenti acquisiti, con la possibilità di valutarne l’entità e la messa in trasparenza».Tra gli strumenti, durante il convegno, si è infatti discusso di Europass che, da quasi 20 anni, è lo strumento ideato dall’Unione europea per facilitare l’attività lavorativa nei Paesi membri, ma che, come è emerso durante il dibattito, «in Italia si è fermato alla stesura di un curriculum vitae». Di fatto, nel nostro Paese i passaggi legati a Europass (introdotto nel 2005) non sono stati elaborati appieno soprattutto quelli legati alle competenze digitali e alle esperienze personali dei giovani italiani. Oggi, oltre a Europass, è a disposizione dei sistemi di valutazione anche l’EQF, il Quadro delle qualificazioni europee delle competenze che, come è stato detto, «rende comprensibile ad ogni formatore e datore di lavoro il livello di istruzione e le capacità professionali di ogni giovane studente o lavoratore». Su questa scia si è mosso il Fondo paritetico per la formazione continua FondItalia che, come ha spiegato Egidio Sangue, direttore e vicepresidente del Fondo, «ha ideato uno strumento, denominato C+, che sarà presto a diposizione delle imprese. Lo strumento, che  utilizza i descrittori e le relazioni presenti nell’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni, ha come finalità quella di offrire ai lavoratori un percorso assistito per mettere in trasparenza, attestare e validare le competenze acquisite lungo l’arco della vita, quindi non solo il proprio percorso di studi e professionale, ma anche le proprie qualità, le skills acquisite nel corso della propria vita lavorativa, le proprie capacità in determinati settori operativi ed i propri talento, consentendo alle imprese ricerche mirate per incrementare la proprio squadra di collaboratori». Il convegno si è chiuso con l’intervento di Carlo Barberis, presidente di ExpoTraining: «Oggi le scuole si stanno attrezzando per la formazione dei docenti e stanno lavorando per indirizzare gli studenti in un percorso che poi condurrà al mercato del lavoro e così contribuire a superare il gap tra domanda e offerta. Per la prima volta la scuola parla di orientamento, di tutor e crediamo che sia la via giusta che vogliamo intraprendere proprio nell’anno europeo delle competenze. Di questo e altri temi parleremo ad ExpoTraining a Milano a novembre».