Nuovo contratto medici ospedalità classificata, Costantino: “Risultato corale premia lavoro di tutti e manifesta senso responsabilità Associazione”

Il Capodelegazione Aris: nuovo contratto nazionale contempera esigenza valorizzare personale medico senza pregiudicare condizioni sostenibilità ospedali.

«La decisione di ratificare l’ipotesi d’intesa per la dirigenza medica dell’Ospedalità classificata dimostra ancora una volta il grande senso di responsabilità e la ferma volontà dell’Aris di continuare a cooperare, come sempre ha fatto, per garantire il diritto alla salute dei cittadini, fornendo, tramite le proprie strutture, un fondamentale contributo al Servizio Sanitario Nazionale». Queste le dichiarazioni di Giovanni Costantino, Capodelegazione Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari), a marginedell’incontro sindacale dell’11 giugno 2025, durante il quale è stato sottoscritto l’accordo definitivo per l’applicazione del ccnl Aris/Anmirs.

«Il nuovo contratto nazionale – prosegue Costantino – contempera due differenti esigenze, entrambe essenziali per la tenuta del sistema, e cioè valorizzare adeguatamente il personale medico senza pregiudicare le condizioni di sostenibilità degli ospedali».

«Siamo soddisfatti del risultato raggiunto – conclude il Capodelegazione Aris – che consente di riaffermare la centralità della contrattazione nazionale, pur recependo le intese già raggiunte a livello locale. Tuttavia, le criticità che hanno impedito sinora la ratifica non possono dirsi superate. Per tale ragione, non sono stati riconosciuti arretrati ed è stato previsto, a favore delle strutture, un periodo di 12 mesi per adeguarsi ai nuovi valori contrattuali, nell’auspicio che in questo intervallo le parti riescano congiuntamente a sensibilizzare le Istituzioni».

Referendum sul lavoro, Costantino: “Jobs Act utile a occupazione ma non essenziale. Servono misure stabili che riducano costo lavoro e incentivino produttività”

A dieci anni esatti dall’entrata in vigore delle cosiddette Tutele crescenti e del Jobs Act, in un continuo tira e molla tra Legislatore e Magistratura, il futuro della disciplina dei licenziamenti e del contratto a termine passa alla consultazione popolare con l’appuntamento dei prossimi 8 e 9 giugno.

“I quesiti referendari in materia di lavoro sottoposti ai cittadini spiega Giovanni Costantino, giuslavorista, responsabile dell’Ufficio Lavoro e Relazioni sindacali dell’Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari) mirano sostanzialmente a cancellare gli interventi normativi adottati dal Legislatore nell’ultimo decennio in nome di una maggiore flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, per i contratti a termine acausali, e in uscita, per quanto concerne la disciplina delle tutele crescenti, al fine di favorire l’occupazione”.

Secondo il giuslavorista si tratta in realtà di provvedimenti normativi che hanno raggiunto solo in parte lo scopo dichiarato, non avendo determinato la ripresa dell’occupazione che ci si sarebbe aspettati e avendo subito successivi interventi da parte della Magistratura che ne hanno, in parte, depotenziato l’efficacia.

“Ad oggi – prosegue Costantino – dell’originaria disciplina dei licenziamenti introdotta nel 2015 rimane ben poco, a causa della costante opera di smantellamento attuata negli anni dalla Corte costituzionale, che ha finito per riconoscere ai lavoratori assunti con il Jobs Act tutele molto vicine a quelle previste dall’art. 18 Stat. Lav. dopo il 2012. Viene quindi da chiedersi se abbia ormai effettivamente senso mantenere l’applicazione di due regimi di tutela diversi per i lavoratori o se non sia, invece, il caso di unificare l’intera disciplina, allineandosi però a quanto disposto dalla maggior parte dei Paesi europei, che già prevedono tutele indennitarie più contenute rispetto all’Italia e considerano la reintegrazione in servizio una tutela eccezionale, da riservare nelle ipotesi di nullità del licenziamento”.

Uniformare la disciplina dei licenziamenti a livello comunitario è, infatti, necessario per consentire alle aziende italiane di concorrere in un mercato del lavoro sempre più globalizzato, ma non è sufficiente. I dati dimostrano, infatti, che la vera spinta all’occupazione è rappresentata dalla riduzione del costo del lavoro, come dimostrano i dati Inps, in cui emerge con evidenza come l’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, effettivamente registrato nell’anno di approvazione del decreto per l’introduzione delle tutele crescenti, sia stato favorito dal concomitante sgravio triennale, in vigore proprio a partire dal 1° gennaio di quell’anno per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni effettuate nel 2015, più che dal nuovo regime dei licenziamenti. Inoltre, servono misure stabili e certe per incentivare la produttività di lavoratori e imprese, da accompagnare con un adeguato piano industriale.

Per Costantino non è da sottovalutare anche la possibile portata del quesito referendario finalizzato a eliminare il tetto massimo dell’indennità risarcitoria prevista per i licenziamenti intimati da aziende che occupino fino a quindici dipendenti.

“Viviamo in un Paese – precisa – in cui oltre il 90% delle imprese occupa meno di 15 dipendenti, per cui l’abrogazione di tale limite massimo potrebbe incidere pesantemente persino sulla loro sopravvivenza. È certo che – conclude Costantino – soprattutto dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale che ne ha paventato l’illegittimità, un intervento sulla disciplina dei licenziamenti nelle imprese sotto-soglia appare ormai improcrastinabile, ma la mera abolizione del limite massimo non può essere la soluzione, essendo necessaria una riforma modulare che, con regole certe, tenga conto delle diverse realtà“.

Referendum. Alla regolamentazione dei licenziamenti dovrebbe pensare il Legislatore

Costantino: “I referendum rappresentano sempre una scelta democratica ma la disciplina dei licenziamenti necessita di un intervento normativo organico, coraggioso e lungimirante”.

“La partecipazione democratica è sempre positiva, ma bisogna chiedersi se, in una materia così complessa come i licenziamenti, il referendum rappresenti lo strumento adeguato. La scelta a cui il cittadino/lavoratore viene chiamato è, infatti, inevitabilmente condizionata dal diretto o indiretto coinvolgimento che potrebbe indurlo a valutazioni non obiettive”.

Così Giovanni Costantino commenta il referendum che si terrà il prossimo 8 e 9 giugno e che chiamerà i cittadini a pronunciarsi su diversi temi quali l’abrogazione del regime delle tutele crescenti e del limite massimo della tutela obbligatoria per i datori di lavoro di ridotte dimensioni, l’acausalità del contratto a termine e la sicurezza negli appalti.

Secondo il responsabile delle relazioni sindacali di Aris “la materia dovrebbe essere correttamente affrontata dal Legislatore, al quale spetta l’individuazione del giusto equilibrio tra flessibilità, necessaria a favorire l’occupazione, e tutele del lavoro, essenziali per la stabilità del sistema Paese, nel solco delle direttive comunitarie e con il necessario coinvolgimento delle parti sociali”.

In una prospettiva ormai globalizzata, l’Italia può infatti competere solo garantendo da un lato regole certe e snelle di ingresso e di uscita dal mercato del lavoro, e dall’altro l’abbattimento del costo del lavoro, necessario a uno stabile incremento dell’occupazione.

“Tornare al passato in materia di licenziamenti – prosegue Costantino – accentuerebbe il divario tra l’Italia e la maggior parte dei Paesi europei, che già ora prevedono tutele indennitarie più contenute e la reintegrazione di lavoratori solo per i licenziamenti discriminatori o su scelta dell’imprenditore”. 

L’auspicio è, pertanto, che il referendum costituisca una cassa di risonanza mediatica per il problema “la cui risoluzione –conclude – dovrà pervenire tramite un intervento normativo sui licenziamenti che sia organico, coraggioso e lungimirante, e contempli stabili incentivi per le assunzioni, unitamente a misure di politica attiva credibili e attuabili”.

Costantino (Aris): Sanità accreditata è parte SSN, il ruolo dev’essere riconosciuto anche da punto di vista economico

Il capodelegazione: “Il ccnl va sicuramente rinnovato, ma c’è la necessità di sfatare qualche mito”.

“Il ccnl per il personale dei Centri di Riabilitazione e delle RSA deve essere senza dubbio rinnovato, ma occorre sfatare qualche mito“. Questo il commento del capodelegazione Aris, Giovanni Costantino a margine dell’Assemblea della stessa Associazione Religiosa Istituti Sociosanitari, riservata ai rappresentanti delle strutture sociosanitarie afferenti all’associazione.

Nell’occasione, il giuslavorista ha osservato come, grazie all’accordo ponte sottoscritto l’anno scorso con i sindacati confederali, la parte economica del ccnl sia aggiornata al primo semestre 2024 e la retribuzione garantita ai lavoratori delle strutture sanitarie accreditateresti tuttora mediamente in linea con quella dei colleghi cui si applicano i contratti collettivi rinnovati più di recente.

Ciò non significa che possiamo “dormire sugli allori” – prosegue Costantino in quanto, senza gli opportuni accorgimenti, nei prossimi anni la dinamica retributiva degli altri contratti supererà, per i lavoratori assunti dopo il 2012, quella del ccnl Aris e peggiorerà ulteriormente la nostra attrattività sul mercato del lavoro, già deteriorata dai numerosi vantaggi riconosciuti solo alle strutture pubbliche, come nel caso delle recenti flat tax introdotte dal Legislatore“.

È chiaro però – sottolinea – che nessun rinnovo potrà avvenire senza un intervento del SSN per la copertura dei maggiori oneri, visto che le nostre strutture operano in un regime di sostanziale monocommittenza ed è impensabile continuare a garantire incrementi economici, come avvenuto in passato, senza adeguamenti delle entrate“.

È arrivato il momento – conclude – di dare concretezza ai principi ispiratori del d.lgs. 502/1992. Se, come viene da più parti riconosciuto, svolgiamo a tutti gli effetti un servizio pubblico, è necessario ricevere anche un trattamento paritario a quello riservato alle strutture pubbliche del SSN“.

Il discutibile “no” dell’Agenzia delle Entrate

L’Ente risponde all’Aris e nega applicazione detassazione 15% per prestazioni aggiuntive a sanità accreditata, applicata invece a personale pubblico. Costantino: “Amarezza per una decisione ingiusta e discriminatoria”.

La flat tax del 15% si applica alle prestazioni aggiuntive del personale delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere del Servizio Sanitario Nazionale, ma non ai lavoratori della sanità accreditata. Questa la conclusione della consulenza giuridica n. 956-66/2024 resa dall’Agenzia delle Entrate all’Aris il 30 gennaio 2025, secondo cui possono beneficiare dell’agevolazione solo i dipendenti delle strutture cui si rendono applicabili i ccnl della sanità pubblica.

Purtroppo ci aspettavamo una risposta simile – interviene Giovanni Costantino, Capodelegazione Aris – viste le posizioni già anticipate dall’Agenzia in precedenti interpelli di dicembre e tenuto conto del fatto che anche la detassazione al 5% degli straordinari sia stata prevista dalla Legge di bilancio solo per gli infermieri dipendenti del SSN”.

Ciò non riduce l’amarezza – continua Costantino, cofirmatario del quesito – per una decisione evidentemente ingiusta e discriminatoria per tanti lavoratori che contribuiscono, come quelli pubblici, all’abbattimento delle liste d’attesa”.

In effetti, come illustrato dall’Aris nell’istanza di interpello presentata il 30 settembre 2024, la sanità accreditata costituisce uno strumento di sussidiarietà orizzontale che esplica una funzione integrativa e ausiliaria del SSN. Anche sul piano della contrattazione collettiva, inoltre, i ccnl della sanità privata disciplinano le prestazioni aggiuntive in modo del tutto conforme al comparto pubblico.

In tale contesto – sottolinea Mauro Mattiacci, Direttore Generale dell’Aris – escludere i nostri dipendenti dal beneficio fiscale costituisce un’irragionevole disparità di trattamento, davvero contraddittoria con l’importanza del settore della sanità accreditata, senza la quale l’intero Sistema Sanitario Nazionale collasserebbe. Auspichiamo, quindi, un cambio di rotta coerente con le dichiarazioni di fine anno del Ministro Schillaci, secondo cui in Italia non si può fare a meno della sanità privata accreditata”.