C’era una volta la concentrazione. Ce la ricordiamo tutti: durava abbastanza da finire un libro, guardare un film senza sbirciare il telefono durante la pubblicità, o persino ascoltare una persona parlare senza pensare “quanto manca?” anche se quello che dice è estremamente interessante per noi. Poi sono arrivati loro: TikTok, i Reels, lo scroll che scorre più veloce della nostra voglia di vivere. E non stiamo parlando solo dei quindicenni con l’apparecchio ai denti e le AirPods. No, ormai anche noi adulti – quelli che una volta leggevano i giornali cartacei e facevano la spesa con la lista scritta a penna – ci siamo arresi al fascino tossico del “solo un altro video”.
Una volta, e parliamo di un tempo in cui il modem faceva triiiin triiin bzzzz, chi non riusciva a concentrarsi per più di qualche minuto veniva inserito nella categoria dei “soggetti con disturbo dell’attenzione”. Era una diagnosi, non uno stile di vita. Oggi invece, se riesci a guardare un video di 3 minuti senza saltare al prossimo, sei praticamente un monaco zen in un mondo che scorre in 15 secondi.
C’è stato un tempo in cui gli adulti guardavano i giovani su TikTok con l’aria di chi osserva un esperimento sociale da lontano, credendo di esserne escluso. “Io non ci casco”, dicevamo, mentre scaricavamo l’app “solo per curiosità”. Due giorni dopo eravamo lì, alle 2:47 del mattino, a guardare una signora del Nebraska che insegna a piegare le magliette con il metodo giapponese. E no, non ci serviva davvero e no, non ci siamo resi conto del tempo trascorso.
La verità è che oggi, mentre i nostri figli tentano di uscire dalla spirale dello scroll, noi ci siamo costruiti un loft con vista nella stessa spirale. I Reels di Instagram sono diventati le nostre pillole antistress, e quel “solo cinque minuti” si allunga fino a quando il telefono non ci avvisa che la batteria sta morendo. Un avviso che ormai ha lo stesso impatto emotivo di un “la tua serie preferita è finita”.
E così, tra un video di gatti che suonano il pianoforte e un tutorial per fare il pane in padella con tre ingredienti, passano le ore. Ci sentiamo multitasking, moderni, aggiornati. Ma sotto sotto stiamo solo scappando da quella fastidiosa sensazione chiamata “presenza nel momento”.
Anche il cervello si è adeguato. Un tempo era un organo complesso, capace di mantenere l’attenzione su un pensiero coerente. Oggi somiglia più a un feed di TikTok: frammentato, iperstimolato, sempre pronto a passare da una riflessione sulla crisi climatica a un video di un papà che scopre il sesso del nascituro con un razzo rosa o azzurro.
Forse ridere di tutto questo è il primo passo per renderci conto che la soglia di attenzione non è morta. È solo stata messa in pausa, travolta da un’overdose di stimoli. Ma possiamo ancora scegliere di fermarci, anche solo per il tempo di una pagina letta senza notifiche, di una conversazione senza occhi che fuggono allo schermo, di un silenzio che non fa paura. Il multitasking ci fa sentire produttivi, ma spesso ci lascia solo stanchi e confusi. E allora, forse, il vero gesto rivoluzionario oggi è proprio questo: concentrarsi. Davvero. Un minuto per volta.
A volte, lo ammetto, penso seriamente di abbandonare il telefono. Di lasciarlo lì, in un cassetto, magari tra le vecchie bollette pagate e schemi di diete improbabili, per riprendermi la vita. Quella vera, fatta di silenzi che non notificano nulla, di sguardi che non hanno bisogno di filtri, di attese che non devono essere riempite per forza. Magari non durerà. Magari dopo un’ora sarò di nuovo lì a scrollare, a cercare un video su come organizzare meglio il tempo mentre lo sto perdendo. Ma quel pensiero resta. E forse è già un segnale: sotto le risate, sotto i balletti improvvisati, sotto l’ironia, c’è ancora la voglia di tornare a concentrarsi davvero. Di tornare, semplicemente, a esserci.
E tu, ci sei?