Ucciso in casa il presidente Jovenel Moise, di 53 anni, dopo che un commando armato formato “da elementi stranieri” e non ancora identificato ha fatto irruzione, ferendo anche la moglie.
A dare la notizia è il primo ministro uscente di Haiti, Claude Joseph, che prende momentaneamente in mano le redini del Paese ed ha invitato tutti alla calma, rassicurando la popolazione che polizia ed esercito manterranno l’ordine.
Moise fu eletto nel 2015 col partito di Tèt Kale ma le elezioni furono annullate per brogli; ciò nonostante riuscì a vincerle l’anno successivo avviando ufficialmente il suo governo nel febbraio del 2017, a seguito delle dimissioni di Michel Martelly.
Durante la sua presidenza è stato accusato di aver represso i potenziali oppositori politici oltre che di voler restare a capo del governo anche oltre la data di scadenza del suo mandato. Come se non bastasse, nel 2019 dovette affrontare accuse di corruzione inerenti alla gestione di fondi in modo illecito (per un valore fino a 2 miliardi di dollari insieme ad altri funzionari) e violente proteste anti-governative in cui morirono decine di persone.
Moise sosteneva fortemente il referendum costituzionale (previsto per settembre), che è invece ampiamente contestato dall’opposizione e da diverse organizzazioni della società civile; la Costituzione attualmente in vigore a Haiti è stata redatta nel 1987 dopo la caduta della dittatura di Duvalier e dichiara che “è formalmente vietata qualsiasi consultazione popolare volta a modificare la Costituzione mediante referendum”.
Una cosa che potrebbe pesare molto nell’analisi dell’accaduto, è che da quasi due anni Haiti era governata a colpi di decreto da parte dello stesso presidente, il quale aveva sospeso quasi tutto il Parlamento lasciando in carica pochi rappresentanti alla guida di 11 milioni di abitanti.