GiùGiù Gramaglia: “Sul palco e davanti alla macchina da presa, porto sempre la mia Sicilia”

L’attore vigatese ripercorre la sua carriera tra aneddoti, incontri speciali e l’amore per il teatro.

Ci sono artisti che calcano il palcoscenico per mestiere e altri che lo fanno per passione. GiùGiù Gramaglia appartiene senza dubbio a entrambe le categorie: con oltre cinquant’anni di carriera, ha vissuto il teatro come un viaggio in continua evoluzione, partendo dalle recite parrocchiali fino ad approdare ai set di grandi produzioni televisive come Il Commissario Montalbano e Il Capo dei Capi.

Oltre alla sua esperienza davanti alla macchina da presa, GiùGiù continua a portare in scena il teatro con interpretazioni intense, come quelle nei testi di Pirandello, e a tenere viva la memoria culturale siciliana attraverso i Percorsi d’Inchiostro, un omaggio alla Vigata letteraria di Andrea Camilleri. In questa chiacchierata ci svela i momenti più emozionanti della sua carriera, i ruoli che più lo hanno segnato e i segreti del mestiere.

Come è nata la tua passione per il teatro e la recitazione?

Innanzitutto, è un piacere incontrare una persona così intraprendente! Questo mi aiuta anche a sciogliermi un po’, visto che di natura sono piuttosto schivo e riservato. La mia passione per il teatro e la recitazione è nata nel tempo, più di cinquant’anni fa. Ho iniziato con le classiche recite parrocchiali e gli spettacoli organizzati dalle suore dell’oratorio. All’epoca, lo ammetto, il teatro aveva per me anche altri fini—come stare in mezzo alle ragazzine—quindi lo vivevo in modo diverso. Ma dentro di me cresceva qualcosa di più profondo, un vero interesse per la scena. Col tempo ho capito che forse il palcoscenico era il mio posto, il luogo dove potevo davvero esprimermi.

Quali sono state le esperienze teatrali che più hanno influenzato la tua carriera?

Il teatro mi ha permesso di raggiungere traguardi ambiziosi e di vivere esperienze fondamentali per la mia carriera. Una delle più significative è stata la celebrazione del centocinquantesimo anniversario della nascita del Premio Nobel Luigi Pirandello, che mi ha dato l’opportunità di portare le sue opere in scena negli Istituti Italiani di Cultura di città come Malta, Stoccolma e Oslo.
Recitare Pirandello significa immergersi in un universo complesso, in cui l’identità e la verità si intrecciano continuamente. Ho avuto l’onore di interpretare La verità, una novella che confluisce ne Il berretto a sonagli, affrontando il tema della verità come concetto mai assoluto, ma sempre relativo, condizionato dallo sguardo degli altri.
Un’altra esperienza teatrale fondamentale è stata Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, che ho portato in scena nel 1995-96 interpretando Eddie Carbone. La mia interpretazione fu molto apprezzata, tanto che il video dello spettacolo fu mostrato anche a Michele Placido, che all’epoca stava valutando di mettere in scena lo stesso testo. Negli anni ’90, però, non c’erano ancora le innovazioni tecniche di oggi e si temeva che un’opera così complessa potesse non ricevere la giusta risposta dal pubblico. Alla fine, la nostra versione fu accolta con entusiasmo e divenne uno dei cavalli di battaglia teatrali di Michele Placido.

“Essendo l’unico empedoclino ad aver lavorato su un testo del tuo concittadino Andrea Camilleri, come descriveresti questa esperienza?” 

L’incontro con il maestro Andrea Camilleri è stato una svolta epocale nella mia vita, sia personale che professionale. Ha rappresentato un’esperienza unica, che mi ha portato a essere—se non proprio l’unico, perché c’è un altro amico che ha lavorato su alcuni suoi testi—ma certamente l’unico empedoclino ad aver preso parte alle riprese de Il Commissario Montalbano.
Ho avuto l’onore di partecipare a due episodi: Il senso del tatto nel 2000 e Una faccenda delicata nel 2016. Questa esperienza ha cambiato profondamente sia la mia vita artistica che quella personale, aprendo scenari meravigliosi. Credo che chiunque faccia questo mestiere sogni di vivere almeno una volta un’opportunità del genere.
Oltre a Montalbano, ho avuto anche la possibilità di lavorare su altri adattamenti dei testi di Camilleri, come la serie C’era una volta Vigata, girata in costume a Scicli. È stata un’esperienza straordinaria, che mi ha permesso di conoscere persone meravigliose, tra cui il regista Alberto Sironi, con cui ho avuto il piacere di collaborare.

Puoi raccontarci delle tue esperienze sul set de “Il Commissario Montalbano” e “Il capo dei capi”?

Come dicevo, l’esperienza su Il Commissario Montalbano è stata eccezionale. Mi sono ritrovato, quasi dal nulla, catapultato sul set di una produzione di altissimo livello, lavorando fianco a fianco con professionisti di grande calibro come Luca Zingaretti e tutto il cast. Venivo dalla “polvere” di un palcoscenico di periferia e trovarmi improvvisamente immerso in una realtà così importante è stato incredibilmente gratificante.
Anche la mia esperienza ne Il capo dei capi è stata molto significativa. Ancora oggi, quando le persone mi incontrano, ricordano con grande impatto la scena che ho girato in quella serie. Interpretavo un tassista, il classico “tuttofare” all’interno di un contesto corrotto. A volte questa cosa mi lascia un po’ perplesso, perché la gente tende a identificare gli attori con i loro personaggi, specialmente quando si raccontano storie legate alla realtà siciliana. Ma fa parte del gioco: il pubblico si affeziona a certi ruoli e rivede in essi frammenti della propria esperienza.

Qual è il tuo metodo per prepararti a un nuovo ruolo, sia teatrale che cinematografico?

Quando si tratta di teatro, tutto parte dalla comprensione del personaggio. È fondamentale immergersi nella sua realtà caratteriale, cercando di coglierne la semplicità, le sfumature e la complessità. Il mio approccio consiste nel vivere il personaggio in prima persona, facendolo diventare parte di me per tutta la durata della preparazione.
Ad esempio, quando ho interpretato Carbone, per un certo periodo mi sono sentito proprio come lui: vile, arrogante, vigliacco. Era un personaggio con tratti negativi molto marcati, ma questo è il bello del mestiere dell’attore: saper entrare completamente in un ruolo e, allo stesso tempo, avere la capacità di spogliarsi da quello stesso ruolo in un attimo per passare a un’altra storia, a un’altra anima.

Quali consigli daresti ai giovani che desiderano intraprendere la carriera teatrale oggi?

“Il consiglio che mi sento di dare ai giovani che vogliono intraprendere la carriera teatrale è, prima di tutto, quello di essere sempre se stessi. È fondamentale mantenere i piedi per terra, senza montarsi la testa, e capire che in questo mestiere bisogna dimostrare qualcosa ogni giorno. La responsabilità, la serietà e la professionalità sono qualità indispensabili, perché affrontare il palcoscenico o la macchina da presa non è affatto semplice come potrebbe sembrare. Recitare non significa solo salire sul palco e dire battute, ma richiede dedizione, studio e sacrificio.
Ricordo bene gli inizi, negli anni ’70, quando partecipavamo alle famose “Feste dello Studente”. Preparavamo uno spettacolo per un intero anno, provando senza sosta per andare in scena il 5 o 6 gennaio. Ricordo le nottate passate a montare le scenografie nei cinema, subito dopo l’ultimo spettacolo di mezzanotte. Lavoravamo con pannelli enormi, che con il sole e la pioggia si gonfiavano e diventavano ancora più pesanti, ma nulla ci fermava. Eravamo giovani, pieni di entusiasmo, e la fatica passava in secondo piano: le luci del palcoscenico ci ripagavano di ogni sforzo, riempiendoci di adrenalina e soddisfazione.
Ecco perché ai giovani dico: bisogna essere disposti a fare sacrifici, perché senza sacrificio non si arriva da nessuna parte. Io stesso, tante volte, ho dovuto lasciare la mia famiglia per le prove o per gli spettacoli. Ma se si ama davvero questo mestiere, ogni rinuncia diventa parte di un percorso che, alla fine, regala emozioni uniche.”

Ci sono nuovi progetti teatrali o cinematografici a cui stai lavorando attualmente?

“Attualmente sto lavorando a un nuovo film, in uscita al cinema a fine marzo, insieme alla compagnia dei fratelli Sansoni. Il film si intitola E poi si vede dove interpreto un personaggio semplice ma dal carattere scorbutico, quello che in siciliano definiremmo un po’ “scostumato”. È un usciere di concorso, una figura simpatica che mi ha subito divertito e coinvolto in questa nuova avventura cinematografica.
Nel cast ci sono anche grandi nomi come Donatella Finocchiaro, Domenico Centamore ed Ester Pantano, con cui ho avuto già il piacere di lavorare in passato, ad esempio ne Il Commissario Montalbano. Ricordo con particolare affetto Domenico Centamore, con cui ho condiviso diverse esperienze sul set, tra cui I fantasmi di Portopalo.
Quest’ultimo è stato un progetto molto intenso ed emozionante, con Beppe Fiorello, che raccontava la tragica storia del naufragio avvenuto la vigilia di Natale al largo di Portopalo di Capo Passero, in cui persero la vita circa 300 migranti. Un’esperienza toccante, che mi ha lasciato un segno profondo.

C’è un episodio o un aneddoto particolare della tua carriera che ti piacerebbe condividere con noi?

Per quanto riguarda gli aneddoti legati alla preparazione di un film, ricordo con piacere l’incontro con Beppe Fiorello durante le riprese de I fantasmi di Portopalo. Sono stato convocato per interpretare un pescatore, un personaggio che faceva parte della comunità di marinai coinvolti in questa drammatica vicenda.
Prima di girare, ci hanno fatto fare delle prove per immergerci completamente nel ruolo. Abbiamo trascorso un’intera giornata in mare, vivendo l’esperienza della navigazione e della pesca come veri pescatori. Ricordo che il mare era un po’ mosso e qualcuno ha dovuto “lasciare il fegato”, ma è stata un’esperienza incredibile, che mi ha fatto comprendere davvero la durezza e la bellezza di quel mestiere.
Per quanto riguarda invece il teatro, la preparazione di un personaggio segue sempre lo stesso principio: bisogna prima di tutto capire ciò che si sta andando a recitare. Se non si comprende il testo, non si può interpretarlo nel modo giusto. Questo vale in particolare per Pirandello: se non si afferra la sua filosofia e la profondità dei suoi concetti, non solo diventa difficile recitare, ma persino memorizzare le battute. L’attore deve entrare nel mondo del personaggio, interiorizzarlo e farlo suo, solo così può restituirlo in modo autentico al pubblico.

Un altro aneddoto che ti voglio raccontare è il mio primo incontro con Andrea Camilleri legato al mio debutto in una sua opera, con l’episodio Il senso del tatto de Il Commissario Montalbano. Dopo aver terminato le riprese, il mio caro amico, il professore Biagio Milano, orgoglioso di me, volle presentarmi al maestro.
Un giorno mi disse: “Vieni, ti voglio far conoscere Camilleri”. Così ci avvicinammo a un bar dove lui era seduto con un’altra persona, intenti a conversare davanti a un caffè. Dopo un po’, il suo interlocutore si alzò e andò via, e poco dopo arrivò il cameriere con un bicchiere di latte di mandorla, servito in uno di quei bicchieri a forma di cono con la base stretta.
A quel punto, Biagio prese la parola: “Maestro, è un piacere presentarvi GiùGiù Gramaglia, ha appena partecipato a una fiction del Commissario Montalbano”. Camilleri sollevò lo sguardo e, istintivamente, allungammo entrambi la mano per salutarci. Involontariamente, mentre facevo un passo avanti, toccai la base del tavolo, facendo oscillare pericolosamente il bicchiere. Ci trovammo così, mano nella mano, a guardarci negli occhi, mentre con l’altro occhio controllavamo il bicchiere che, per fortuna, rimase in equilibrio.
Qualche tempo dopo, lo rividi nuovamente al bar e decisi di metterlo alla prova per vedere se si ricordava di me. “Buongiorno, maestro”, gli dissi. “Si ricorda chi sono?”. Lui mi guardò e rispose: “Mi ricordo, mi ricordo… ho visto l’anteprima del film”. Per un attimo pensai che si ricordasse di me per il rischio che avevo corso di versargli addosso il bicchiere, invece mi riconosceva per il mio lavoro. Fu un’emozione unica.

Ultima chicca che ti do in anteprima e ti lascio il l’indirizzo dove trovi tutti i lavori che ho fatto, 50 anni sono davvero tanti. https://www.giugiugramaglia.altervista.org

Quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Andrea Camilleri, sono impegnato a Porto Empedocle in un progetto speciale che celebra il legame tra lo scrittore e la sua terra. Insieme a un gruppo di amici attori, conduco “i Percorsi di Inchiostro”, un’iniziativa che accompagna i visitatori alla scoperta della Vigata letteraria, quella reale che ha ispirato i suoi romanzi.
Durante il percorso, non ci limitiamo a mostrare i luoghi, ma li arricchiamo con momenti teatrali, portando in scena frammenti tratti dai libri e dalle fiction. A differenza della Vigata cinematografica, ci concentriamo sui luoghi autentici della vita di Camilleri: il bar dove faceva colazione, il caffè dove incontrava gli amici, la storica Trattoria da Enzo, tuttora esistente.
Tra le tappe più suggestive c’è anche il vecchio magazzino di legnami, che ha ispirato La concessione del telefono, insieme ad altri scorci di Porto Empedocle che hanno lasciato un segno nelle sue opere. È un viaggio emozionante, che permette ai visitatori di immergersi nel mondo di Camilleri attraverso i suoi luoghi, le sue parole e le atmosfere che hanno dato vita ai suoi racconti.