Dopo ben 2 scosse di terremoto nel giro di poche ore, Gabriele D’angelo cameriere presso l’hotel Rigopiano nel comune di Farindola, sta parlando al telefono con la Prefettura di Pescara per sollecitare l’intervento dei mezzi sgombraneve che, a causa delle abbondanti nevicate cadute nelle ultime 67 ore, hanno ricoperto l’intera zona circostante da muri di neve alti 2 metri e mezzo impedendo così, l’evacuazione delle persone dalla struttura alberghiera.
Sono passate esattamente 5 ore dalle chiamate di aiuto, pervenute dal dipendente dell’albergo quando improvvisamente dalle pendici del monte Siella nel cuore del Gran Sasso, si staccano 120 mila tonnellate di ghiaccio che in meno di 90 secondi a una velocità superiore ai 100 km orari raggiungono e travolgono, il resort Turistico.
Sotto il peso della valanga l’albergo di Farindola, viene trascinato giù per 10 metri e 40 persone, presenti all’interno dell’edificio, vengono sbalzate via dalla furia violenta della valanga di neve.
Sono le 16:49 del 18 gennaio 2017 e il primo allarme viene dato alle 17:40 :” É caduto, è caduto l’albergo”, così Giampiero Parete che appena uscito dall’albergo per andare a recuperare delle medicine lasciate in macchina, disse chiamando il ristoratore Quintino Marcella.
Il signor Marcella, superando con una certa incredulità iniziale per la telefonata di aiuto ricevuta dal suo amico, chiama i soccorsi e dopo tre interminabili minuti di attesa e passaggi telefonici dall’altra parte della cornetta, risponde Daniela Acquaviva funzionaria del centro di unità di crisi.
Durante la conversazione telefonica Quintino Marcella, tenta più volte di convincere la donna che l’allarme lanciato da Giampiero Parete sia vero ma la funzionaria, gli risponde che i Vigili del Fuoco hanno già fatto le verifiche e che non risulta esserci alcun crollo all’hotel Rigopiano.
La risposta della funzionaria nei confronti di Marcella, fu anche piuttosto seccata.
Queste le parole pronunciate che emergono dalla chiamata: “Guardi non so che dirle.
La mamma degli imbecilli è sempre incinta.
Forse c’è qualcuno che si diverte a fare gli scherzi e che ha preso il cellulare di Giampiero Parete”.
La donna, che non credette alle richieste di aiuto del signor Marcella chiuse il telefono.
Intanto, pochi istanti dopo essre stati travolti dal crollo di un solaio e una fitta coltre di neve, ci sono dei superstiti che hanno appena riaperto gli occhi.
Solo intorno alle 19:30, partono le operazioni di ritrovamento dei dispersi e verso le 4.00 di mattina del 19 gennaio, tra mille difficoltà una prima colonna di mezzi, uomini del Soccorso alpino e personale medico, arrivano sul luogo funesto della tragedia e mentre passano al setaccio la zona del disastro, i soccorritori, iniziano a percepire alcuni brusii.
Fra questi sussurri di lieve intensità si sentono quelli dei piccoli Gianfilippo e Ludovica Parete, di 8 e 6 anni che subito dopo essere stati travolti dalla slavina di neve, si ritrovano sepolti dentro una tomba di ghiaccio.
I due bambini, vengono riportati alla superficie verso le 11:00 mentre altre 9 persone saranno estratte vive qualche ora più tardi grazie, all’intervento eroico dei Vigili del fuoco e del 118.
L’ultimo a essere salvato, da quell’inferno glaciale, sarà il pasticcere Giampaolo Matrone rimasto in bilico tra la vita e la morte per 62 ore, mentre invece 11 dipendenti e 18 ospiti del resort di Farindola, saranno ritrovati morti alcuni giorni dopo, sotto un groviglio di macerie e neve.
Il 23 novembre del 2022, il pubblico ministero Anna Benigni, apre l’udienza del processo con rito abbreviato.
La pm durante la fase dibattimentale ripercorre i fatti di quei giorni sottolineando che Regione Abruzzo, provincia e prefettura di Pescara, incluso il comune di Farindola avrebbero dovuto attuare azioni di previsione e prevenzione poiché il rischio valanghe, dal 14 gennaio di quell’anno, era concreto.
Benigni ha evidenziato la cattiva gestione degli enti locali parlando di “omissioni sistemiche” sulla tragedia.
I 30 imputati, tra amministratori e funzionari pubblici, oltre al gestore e al proprietario dell’albergo vengono accusati a vario titolo dei reati di omicidio plurimo colposo, lesioni, falso ideologico, depistaggio e abusi edilizi.
La pm nel corso del processo, ricorda inoltre che alle ore 12:30 del giorno precedente alla catastrofe, il propietario del resort chiese l’invio di turbine per sgomberare la strada provinciale numero 8 che conduceva alla struttura alberghiera e che era impraticabile per la neve.
Intervento che era stato richiesto anche il 18 gennaio dagli ospiti dell’albergo che volevano andarsene da lì, soprattutto dopo le forti scosse di terremoto.
A questo punto l’accusa ha fatto riferimento ad altre grandi tragedie come quello del ponte Morandi di Genova, Sarno e San Giuliano di Puglia.
La pm Benigni ha ricostruito con dovizia di particolari i vari capi di imputazione, partendo proprio dall’analisi del rischio: isolamento, neve, valanghe, incominciando proprio dai soggetti a carico dei quali c’è la legge della Protezione civile che impone degli obblighi di previsione e prevenzione.
Ricorda la pm Benigni che questi obblighi che non sono scattati, erano di competenza della Provincia e del Comune.
La dottoressa Benigni ha proseguito la sua arringa, rammentando che dal 2005 la commissione valanghe non venisse più convocata dai sindaci esattamente come per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco che nonostante fossero a conoscenza dell’isolamento di questo hotel non si sarebbero minimamente preoccupati di mettere in sicurezza il proprio territorio dal rischio valanghe.
Ed è proprio per questo motivo che nel suo lungo proloquio, il magistrato, ha voluto ricordare quando, tra il 1999 e il 2005 sei valanghe si abbatterono tra il comune di Farindola e quello di Arsita mentre l’8 marzo del 2015, la struttura alberghiera di Farindola dopo essere stata travolta da una spaventosa slavina di neve, rimase per tre giorni completamente isolata, senza elettricità.
In quel caso dovettero arrivare i soccorsi e i vigili del fuoco per portare latte ai neonati e per mettere in salvo una signora in preda ad una crisi di panico.
Il 9 Febbraio 2023 dopo 10 udienze svolte dinanzi al Gup del tribunale di Pescara, viene emessa la sentenza che condanna in primo grado il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, a 2 anni e 8 mesi di reclusione; il responsabile della viabilità della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno); l’ex gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso e Giuseppe Gatto, redattore per la relazione tecnica per l’intervento sulle tettoie e verande dell’hotel, ai quali è stata inflitta dal gup una pena di 6 mesi di reclusione ciascuno.
Tra i 25 imputati assolti in primo grado ci sono l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo e l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco.
Dopo la lettura della sentenza, emessa in aula dal Giudice Gianluca Sarandrea, scoppia una comprensibile protesta e rabbia dei familiari delle vittime.
Alle urla dei parenti delle vittime, gli fa eco Giampaolo Matrone uno dei sopravvissuti, che urla al giudice: “Non finisce qui”.
Alcuni cercano di avvicinarsi al giudice probabilmente per tentare di aggredirlo, in un parapiglia generale dove a stento le forze dell’ordine riescono a evitare che si arrivi allo scontro fisico.
Il 25 maggio 2023 dopo aver letto le motivazioni della sentenza del gup, il procuratore capo di Pescara Giuseppe Bellelli decide di ricorrere in appello.
Il 14 febbraio 2024 arriva la sentenza emessa dal presidente della corte di Appello dell’Aquila Aldo Manfredi, che aggiunge 3 condanne in più rispetto alla sentenza di primo grado nei confronti dell’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo condannato per depistaggio a 1 anno e 8 mesi, l’ex dirigente della prefettura di Pescara Leonardo Bianco condannato a 1 e 4 mesi ed Enrico Colangeli il tecnico del comune di Farindola condannato a 2 anni e 8 mesi, per aver rilasciato il permesso alla ristrutturazione dell’hotel.
Una sentenza, che diminuisce seppur di poco, quel peso insopportabile del dolore che da 8 anni i familiari delle vittime di Rigopiano si portano sulle proprie spalle come se avessero dei grossi cumuli di neve che si potranno affievolire, solo quando tutti i responsabili che hanno provocato questa smisurata tragedia, saranno assicurati alla giustizia italiana.
(Articolo di Davide Corda)