Lavoro, Univendita-Confcommercio: la vendita diretta non ha nulla a che fare con gli algoritmi

Al Cnel presentata indagine sul settore in attesa del recepimento della direttiva Ue che tutela i lavoratori delle piattaforme digitali.

Soprattutto di sesso femminile, poco oltre i 50 anni di età, con un titolo di studio medio-alto, consapevoli della propria scelta libero-professionale e gelosi della flessibilità, dell’autonomia organizzativa che il lavoro consente loro, con ricadute positive sul benessere e sul work-life balance. Ma anche desiderosi di esprimere appieno le proprie potenzialità in una dimensione relazionale diretta con il cliente, sempre più vicini all’uso delle nuove tecnologie come strumento per migliorare i processi di vendita e tuttavia lontanissimi da logiche organizzative dominate dagli algoritmi. L’identikit aggiornato dei lavoratori nel comparto della vendita diretta a domicilio è emerso dalla ricerca ‘Un lavoro su misura oltre gli algoritmi: la vendita diretta e il mondo digitale’, commissionata da Univendita-Confcommercio, la maggiore associazione di settore in Italia, e realizzata dai Mimmo Carrieri e Fabrizio Pirrosociologi del Lavoro della Sapienza di Roma, su un campione di quasi 500 addetti del comparto che fattura in Italia 3 miliardi di euro l’anno.
L’indagine è stata illustrata stamane al Cnel, alla presenza del presidente Renato Brunetta, in un dibattito che ha visto poi confrontarsi una rappresentanza qualificata e trasversale di parlamentari e le aziende iscritte all’associazione (1,5 miliardi di fatturato e circa 140mila addetti). Proprio in queste settimane l’Italia, con la legge di delegazione europea in discussione alla Camera, cui seguirà un decreto legislativo del ministero del Lavoro, si prepara a recepire la direttiva Ue (2024/2831) varata per offrire nuove tutele ai lavoratori delle piattaforme digitali – come i rider o gli autisti di Uber – che soggiacciono a rigide regole organizzative, valutazioni ed eventuali sanzioni automatiche da parte di algoritmi.      
 
Entrando nel merito, l’età media del campione è 53 anni e mezzo e quasi sei venditori su dieci hanno un diploma, il 12,7% ha una laurea triennale o magistrale oppure una formazione ancora superiore. Il 54,7% assimila la propria attività al lavoro autonomo e quasi l’88% lo contrappone alla condizione di dipendente. Il 52,7% dei lavoratori usa oggi un programma o app sul proprio dispositivo per gestire gli ordini, il 13,6% per coordinarsi nello svolgimento dell’attività, ma quasi l’85% nega o dice di non avere contezza circa altre tecnologie o algoritmi usati da parte dell’impresa con scopi di controllo o condizionamento. Di conseguenza, anche la pianificazione degli incontri con la clientela, pur presentandosi eterogenea per modalità adottate e strumenti utilizzati, vede il 56,7% dei rispondenti avvalersi soprattutto dei contatti diretti e del passaparola, confermando la dimensione spiccatamente relazionale del lavoro nella vendita diretta.             
 
Complessivamente quasi il 90% esprime un giudizio “molto” o “abbastanza” soddisfatto del proprio lavoro. Il 55,6% fa riferimento proprio all’ampio grado di autonomia e solo il 7% chiede un maggior coordinamento con l’azienda. Ancor più importante: i numeri smentiscono il cliché del lavoretto ‘mordi e fuggi’: più del 40% svolge l’attività di vendita diretta da almeno dieci anni e complessivamente oltre il 70% la esercita da più di tre anni. Infine, quasi i due terzi (65,1%) ha lavorato come dipendente prima di entrare nel comparto; a dimostrazione che l’impegno nel settore si attaglia a chi cerca una dimensione flessibile e personalizzata di conciliazione vita-lavoro, coltivando comunque ambizioni economiche e di carriera commisurate ai propri bisogni e desideri.      
 
Durante l’evento al Cnel il presidente di Univendita, Ciro Sinatra, ha affermato: “La nostra attività è basata sul lavoro e sulla meritocrazia e ha raggiunto da anni la parità di genere. Anche l’utilizzo della tecnologia non prescinde mai dalla centralità della persona che sia esso il cliente, l’incaricato, il coordinatore o qualunque altra figura delle nostre aziende. La vendita diretta è completamente diversa dal lavoro su piattaforma. Noi non applichiamo algoritmi all’organizzazione del lavoro e le nostre figure professionali sono ben regolate giuridicamente dal codice civile e da una legge ad hoc del 2005. Dunque, contiamo che il legislatore italiano saprà ben delimitare il concetto di piattaforma e recepirà la norma europea con sensibilità e attenzione alle esigenze e alle peculiarità del comparto. La vendita diretta rappresenta un’occasione di crescita umana e professionale per tantissime persone, favorisce la coesione sociale e tiene vive le reti di comunità, soprattutto nei piccoli centri, sostiene i redditi delle famiglie e tutela i consumi dei 29 milioni di clienti che ogni anno si rivolgono alle nostre imprese”.

Microimprese e formazione: criticità e risposte

Mentre il Rapporto INAPP conferma il basso coinvolgimento del segmento, FondItalia registra ancora un trend di crescita.

Il “Rapporto sulla formazione continua in Italia”, curato da INAPP per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha confermato, a inizio maggio, una criticità strutturale del sistema nazionale, sottolineando quanto siano «ancora poco coinvolti i lavoratori con le basse qualifiche e le microimprese» nei programmi di formazione continua. Una diagnosi che evidenzia come il divario nella promozione dei programmi formativi tra grandi e piccole e medie imprese rimanga una delle sfide principali per la competitività del tessuto economico italiano.

In questo scenario, FondItalia, il Fondo Paritetico Interprofessionale Promosso da UGL e Federterziario, presenta risultati che vanno in direzione opposta. L’Avviso FEMI 2025.01, di durata annuale ed aggiornato al Terzo Sportello (approvazione il 22 maggio scorso), registra infatti, il coinvolgimento di 1.132 microimprese su un totale di 1.887 aziende beneficiarie, pari al 60% del totale, e la partecipazione di 3.414 lavoratori in organico in imprese con un numero di dipendenti che va da 1 a 9. «I risultati dell’Avviso FEMI 2025.01 dimostrano che adottando strumenti adeguati alle specificità delle microimprese, queste rispondono con grande interesse alle opportunità di formazione -ha dichiarato Egidio Sangue, direttore di FondItalia-. La nostra policy, che fa leva sulle reti, la semplificazione e la flessibilità nell’accogliere tutte le esigenze formative delle imprese e dei lavoratori, ha consentito di abbattere le tradizionali barriere che limitavano l’accesso di queste realtà alle risorse, favorendo la diffusione di una cultura della formazione anche all’interno di organizzazioni di queste dimensioni».

Il trend positivo si evince dalla crescita progressiva nell’ambito dei primi tre Sportelli approvati nel corso del 2025. Dal I Sportello approvato l’11 febbraio, che aveva registrato 330 microimprese beneficiarie con 958 lavoratori coinvolti, si è arrivati ai dati aggregati del III Sportello con un incremento di oltre il 240% per le aziende e del 256% per i lavoratori formati. L’andamento crescente ha visto l’approvazione di 120 Progetti nel primo Sportello, 141 nel secondo e 161 nel terzo, per un totale di 422 Progetti formativi che hanno complessivamente coinvolto 15.005 lavoratori di imprese di tutte le dimensioni.

Il Presidente dell’INAPP Natale Forlani aveva evidenziato nella presentazione del Rapporto come «il ruolo dei Fondi può essere importante per rimediare al divario che esiste nella promozione dei programmi formativi tra grandi e piccole e medie aziende», sottolineando che l’attuale domanda di competenze e l’utilizzo di tecnologie nell’ambito delle piccole imprese «risulta attualmente inadeguata».

«La sfida principale per le microimprese non è solo attivare l’interesse verso la formazione, compito già di per sé complesso, ma anche dare seguito a tale interesse con modalità e strumenti adeguati alle loro dimensioni e alle loro capacità organizzative -ha aggiunto Sangue-. Nel caso di FondItalia, dove vi è un’adesione di microimprese pari al 91%, la vera risorsa che ci ha consentito di raggiungerle e coinvolgerle, sempre con maggiore frequenza, in percorsi formativi  sono state le Reti; Reti territoriali, di filiera, federali che sono state in grado di dialogare con gli imprenditori e co-costruire con loro una visione della formazione intesa come strumento di crescita delle imprese e con esse del tessuto produttivo del Paese».

La performance di FondItalia si inserisce in un contesto nazionale che vede la formazione continua tornare a crescere dopo il rallentamento pandemico. I 19 Fondi interprofessionali hanno coinvolto nel 2023 quasi 2 milioni di lavoratori, poco meno del 20% dei dipendenti delle imprese private, mentre il Fondo Nuove Competenze ha permesso di formare oltre 550mila lavoratori attraverso investimenti pubblici specifici.

Referendum sul lavoro, Costantino: “Jobs Act utile a occupazione ma non essenziale. Servono misure stabili che riducano costo lavoro e incentivino produttività”

A dieci anni esatti dall’entrata in vigore delle cosiddette Tutele crescenti e del Jobs Act, in un continuo tira e molla tra Legislatore e Magistratura, il futuro della disciplina dei licenziamenti e del contratto a termine passa alla consultazione popolare con l’appuntamento dei prossimi 8 e 9 giugno.

“I quesiti referendari in materia di lavoro sottoposti ai cittadini spiega Giovanni Costantino, giuslavorista, responsabile dell’Ufficio Lavoro e Relazioni sindacali dell’Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari) mirano sostanzialmente a cancellare gli interventi normativi adottati dal Legislatore nell’ultimo decennio in nome di una maggiore flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, per i contratti a termine acausali, e in uscita, per quanto concerne la disciplina delle tutele crescenti, al fine di favorire l’occupazione”.

Secondo il giuslavorista si tratta in realtà di provvedimenti normativi che hanno raggiunto solo in parte lo scopo dichiarato, non avendo determinato la ripresa dell’occupazione che ci si sarebbe aspettati e avendo subito successivi interventi da parte della Magistratura che ne hanno, in parte, depotenziato l’efficacia.

“Ad oggi – prosegue Costantino – dell’originaria disciplina dei licenziamenti introdotta nel 2015 rimane ben poco, a causa della costante opera di smantellamento attuata negli anni dalla Corte costituzionale, che ha finito per riconoscere ai lavoratori assunti con il Jobs Act tutele molto vicine a quelle previste dall’art. 18 Stat. Lav. dopo il 2012. Viene quindi da chiedersi se abbia ormai effettivamente senso mantenere l’applicazione di due regimi di tutela diversi per i lavoratori o se non sia, invece, il caso di unificare l’intera disciplina, allineandosi però a quanto disposto dalla maggior parte dei Paesi europei, che già prevedono tutele indennitarie più contenute rispetto all’Italia e considerano la reintegrazione in servizio una tutela eccezionale, da riservare nelle ipotesi di nullità del licenziamento”.

Uniformare la disciplina dei licenziamenti a livello comunitario è, infatti, necessario per consentire alle aziende italiane di concorrere in un mercato del lavoro sempre più globalizzato, ma non è sufficiente. I dati dimostrano, infatti, che la vera spinta all’occupazione è rappresentata dalla riduzione del costo del lavoro, come dimostrano i dati Inps, in cui emerge con evidenza come l’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, effettivamente registrato nell’anno di approvazione del decreto per l’introduzione delle tutele crescenti, sia stato favorito dal concomitante sgravio triennale, in vigore proprio a partire dal 1° gennaio di quell’anno per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni effettuate nel 2015, più che dal nuovo regime dei licenziamenti. Inoltre, servono misure stabili e certe per incentivare la produttività di lavoratori e imprese, da accompagnare con un adeguato piano industriale.

Per Costantino non è da sottovalutare anche la possibile portata del quesito referendario finalizzato a eliminare il tetto massimo dell’indennità risarcitoria prevista per i licenziamenti intimati da aziende che occupino fino a quindici dipendenti.

“Viviamo in un Paese – precisa – in cui oltre il 90% delle imprese occupa meno di 15 dipendenti, per cui l’abrogazione di tale limite massimo potrebbe incidere pesantemente persino sulla loro sopravvivenza. È certo che – conclude Costantino – soprattutto dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale che ne ha paventato l’illegittimità, un intervento sulla disciplina dei licenziamenti nelle imprese sotto-soglia appare ormai improcrastinabile, ma la mera abolizione del limite massimo non può essere la soluzione, essendo necessaria una riforma modulare che, con regole certe, tenga conto delle diverse realtà“.

Referendum, FederTerziario: “Sul lavoro non si torni alle vecchie rigidità, le MPMI italiane chiedono professionalità e fidelizzazione del personale”

In vista dei referendum la posizione dell’organismo datoriale che rappresenta oltre 90mila micro, piccole e medie imprese su tutto il territorio nazionale.

Licenziamenti, contratti a termine, appalti e responsabilità in materia di sicurezza: l’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi su quattro quesiti referendari per abrogare alcuni passaggi normativi legati a tematiche del diritto del lavoro e su un altro che riguarda la cittadinanza. FederTerziario prende spunto dal referendum per chiedere alla politica lo sforzo di uno sguardo sul futuro che superi posizioni anacronistiche di fronte a un mercato lavoro che ormai è sempre più dinamico, esigente e globalizzato.

Il diritto del lavoro purtroppo da anni subisce modifiche continue più legate alle ideologie che alle reali esigenze del mondo produttivo che negli ultimi 10 anni, cioè dall’entrata in vigore del cosiddetto Jobs Act spiega Alessandro Franco Segretario Generale FederTerziario, è totalmente cambiato e avrebbe bisogno di una revisione organica capace di cogliere le nuove frontiere del mondo del lavoro e non certo dell’abrogazione di singole norme che, ormai da anni, garantiscono un discreto equilibrio tra la flessibilità che richiede il mercato e le tutele che vanno garantite ai lavoratori”.

La posizione di FederTerziario si concentra in particolare modo sulle micro, piccole e medie imprese che costituiscono il 99% del sistema produttivo nazionale.

Si può anche discutere su eventuali cambiamenti normativi – prosegue Francoma un’abrogazione tout court che ci riporta indietro nel tempo non è davvero utile a nessuno. Oggi le MPMI non hanno nessun interesse a licenziamenti facili, anzi hanno fame di manodopera e professionalità che sono difficili da reperire, così come non hanno interesse ad implementare la precarietà dei rapporti di lavoro, ma a fidelizzare il personale anche perché ogni nuova assunzione richiede un investimento in tempo, risorse e formazione che incide pesantemente sulla vita di un’impresa, soprattutto se di piccole dimensioni“.

Al centro dell’impegno dell’organismo datoriale permane la volontà di cambiare il paradigma di riferimento dei rapporti tra lavoratori e imprese, superando vecchie rigidità formali che proprio i promotori dell’iniziativa referendaria vorrebbero reintrodurre per i contratti a termine.

Si tratta di rigidità che non solo non impatterebbero positivamente sull’equità sociale – aggiunge l’esponente di FederTerziario, ma appesantirebbero una burocrazia che già si sostanzia in una pletora di adempimenti che più che implementati andrebbero razionalizzati. Sul fronte dei licenziamenti, sebbene le norme possano essere migliorate anche alla luce di alcune sentenze della Corte Costituzionale, riteniamo che sia più utile ragionare su eventuali modifiche al testo vigente, coinvolgendo tutti gli stakeholders del mondo del lavoro, piuttosto che abrogare una disciplina che ha dimostrato di essere funzionale al contesto produttivo e che non ha mai generato l’emorragia di licenziamenti che, quando è entrata in vigore, si paventava“.

Sul fronte della sicurezza sul lavoro, oggetto di uno dei quesiti referendari che chiede di ampliare la responsabilità dell’azienda committente in relazione all’eventuale infortunio subito dal lavoratore dipendente di un’impresa appaltatrice o subappaltatrice, FederTerziario, di recente impegnata sui tavoli ministeriali proprio sul fronte della sicurezza, conduce ormai da anni un impegno che promuove un’azione organica su molteplici fronti: formazione, prevenzione, agevolazioni e semplificazioni. Ad esempio estendendo il raggio d’azione della formazione finanziata anche ai datori di lavoro per le imprese con meno di 15 dipendenti.

Per ciò che riguarda il quesito sugli appalti – precisa Alessandro Franco -, riteniamo che anche in questo caso la formale estensione della responsabilità del committente, sempre da dimostrarsi nelle opportune sedi, non porterebbe alcun vantaggio in tema di sicurezza. Si continuano ad introdurre norme, ad appesantire le pene, ma purtroppo in Italia si muore ancora troppo a causa del lavoro. Allora crediamo che anche in questo caso vada rivisto l’approccio al problema, puntando su controlli mirati ed efficaci, su investimenti in prevenzione, su sistemi premianti per le imprese virtuose che investono in sicurezza, su strumenti finanziari che aiutino, soprattutto le micro e piccole imprese, a rinnovarsi e a digitalizzarsi“.

Sull’ultimo quesito, che propone di far passare da 10 a 5 il periodo di residenza legale in Italia necessario per presentare la richiesta di cittadinanza, la posizione dell’organismo confederale è positiva, anche nell’ottica, seppur indiretta, delle esigenze del mercato del lavoro.

In ordine al quesito sulla cittadinanza – conclude Franco, pur essendo parzialmente al di fuori dell’attività confederale e conseguentemente un tema più legato al sentire di ciascuno di noi, riteniamo che in un periodo in cui il calo demografico rischia di mettere in crisi la sostenibilità dell’intero sistema previdenziale, rivedere le politiche migratorie e garantire i diritti legati alla cittadinanza in tempi più ragionevoli, possa migliorare l’integrazione di tutti coloro che già contribuiscono al benessere economico e al bisogno di manodopera del nostro Paese“.

DL Infrastrutture, D’Angelo: misure per logistica segno di ascolto comparto

Il presidente ANSI: si evidenzia centralità dei settori nello scenario nazionale. DL che guarda a lungo termine.

Le misure e le risorse previste dal decreto Infrastrutture e destinate a logistica ed autotrasporti evidenziano ancora una volta la centralità di questi settori nello scenario nazionale”. Così il presidente dell’associazione datoriale AnsiLogistica integrata Andrea D’Angelo a proposito dell’ultimo provvedimento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 

Nel testo – prosegue D’Angelonon mancano spinta innovativa, visione a lungo termine e attenzione a transizione e sostenibilità. Lo dimostrano, ad esempio, la nuova disciplina dei tempi di attesa per le operazioni di carico e scarico merci, quella relativa ai tempi di pagamento e i fondi per l’ammodernamento della flotta del parco veicolare del settore dell’autotrasporto, pari a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026: tutti interventi che testimoniano una interlocuzione sempre aperta con gli attori del comparto. Tra questi, anche Ansi è ogni giorno in prima linea su innovazione, sviluppo tecnologico e professionalizzazione del personale”, conclude.